Venerdì, 28 Febbraio 2020 08:33

Speriamo che sia femmin...ista

È trascorso un quarto di secolo dalla IV Conferenza mondiale delle donne, nota come Conferenza di Pechino. Dal 1995 l’uguaglianza dei diritti, l’equivalenza delle opportunità e dell’accesso alle risorse rimangono ancora un miraggio. Ma è anzitutto in gioco la concezione stessa del potere: non si tratta di redistribuire un po’ più equamente i posti di potere tra maschi e femmine; l’accesso delle donne al potere comporta un ripensamento di come esso viene esercitato in ogni ambito che è fondamentale per la vita

Ogni tanto capita di rivederlo: un vero e proprio cult-movie che le televisioni, giustamente, non riescono ad archiviare definitivamente. Speriamo che sia femmina, il film di Mario Monicelli (1986) con un cast di attori straordinari e una sceneggiatura intelligente e leggiadra, è stato rappresentativo di un’epoca. Il film ha alle spalle una storia vera, restituita con garbo attraverso una messa in scena sapientemente ironica, dominata dal realismo, espansivo e cordiale, di tre generazioni di donne e dall’inadeguatezza maschile, irritante ma, al contempo, disarmante. Il titolo riassume il messaggio e l’atmosfera del film: alla fine del racconto, di fronte all’incipiente gravidanza di una delle protagoniste della generazione di mezzo, tutto il gruppo delle donne è capace di ri-pensarsi, di affrontare il cambiamento e di contare sulla forza che viene da una reciproca solidarietà al di là della differenza di età e di ruolo. Condividendo però la speranza che… sia femmina.

Auguri e… figli maschi!
La vicenda, naturalmente, va collocata: dopo una lunga epoca patriarcale, segnata dal perdurante desiderio di avere, sempre e comunque, figli maschi – anche se poi una o più femmine erano ben accolte perché dovevano garantire la cura della casa e degli anziani –, gli anni Settanta del Novecento erano dominati da una nuova prospettiva sulla vita. Lungo tutto quello che è stato chiamato “il secolo delle donne”, infatti, si era andata radicando la chiara consapevolezza che lo stereotipo del “sesso debole” era ormai stato messo definitivamente al bando. Già durante la Prima guerra mondiale le donne erano state in grado di prendere il posto degli uomini, costretti al fronte; perfino nelle industrie pesanti, cioè perfino lì dove era indispensabile una grande forza fisica. Ma era stata soprattutto la vigorosa spinta innescata dal femminismo a incidere ad ampio spettro sul tessuto sociale attraverso la lunga battaglia per i diritti: alla salute, all’istruzione, al lavoro, al voto. Una cosa è certa: l’acquisizione di questi diritti ha cambiato profondamente, insieme alla mentalità delle donne, anche gli assetti sociali.

Quale femminismo?
Solo chi non riesce ad andare oltre il pollaio di casa sua può dire che l’8 marzo è passato di moda o che il femminismo è stata una fiammata che ha perso il suo vigore. Basta guardare alle sterminate masse umane che chiedono, con sempre meno pazienza, di sedersi alla mensa del cibo e al tavolo dei diritti, come basta guardare con un po’ più di attenzione anche dentro le pieghe delle nostre opulente civiltà occidentali, ancora dominate dal sessismo, per accorgersi che la rivoluzione femminista ha davanti a sé una lunga strada da percorrere. Né è vero che la sua prima fase, quella egualitaria, deve ormai cedere il passo a raffinate speculazioni sulla differenza di genere: il divario salariale tra uomini e donne attesta che l’uguaglianza si gioca su ben altro che non il diritto a mettersi i pantaloni, per non parlare della distanza tra i privilegi sacerdotali e le molte forme di asservimento delle religiose.

Molto deve ancora cambiare
Una volta è stato chiesto a Woody Allen in quale momento della storia avrebbe desiderato nascere. Con la sua solita ironia ha risposto: dopo la scoperta degli antibiotici! E non è difficile capire il perché. Se venisse chiesto a me, risponderei che sono contenta di essere nata dopo la nascita e la diffusione del femminismo. Sì, perché da quel momento il mondo ha cominciato a cambiare radicalmente, profondamente, strutturalmente. Solamente cominciato, però. Siamo di fronte a un fenomeno che tocca alle radici la convivenza umana perché ridiscute le identità, rimescola i valori, riformula le aspettative.

Nate “in anticipo”
Sono ormai passati molti anni, ma non posso dimenticare quanto mi disse mia madre un giorno: venuta a pranzo a casa mia, aveva visto nell’ingresso una piccola ma corposa biblioteca tutta dedicata al femminismo e, in particolare, alla teologia e all’esegesi biblica femministe. Con l’autorevolezza che le era propria, aveva esclamato: «Figlia mia, tu sei nata almeno venticinque anni in anticipo». E aveva aggiunto: «Ma in fondo anche io sono nata con almeno venticinque anni di anticipo rispetto ai tempi».
Penso che le è stato dato di arrivare a vedere che, sebbene fosse arrivata nel mondo in anticipo, non aveva sbagliato binario: le sue aspettative erano state confermate dalla storia, sia pure con grande lentezza. E, in fondo, è quanto posso affermare anche per quanto riguarda me: qualcosa è certamente cambiato.

Continua...

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