Sono Alessia, ho 22 anni, vivo a Trento e studio giurisprudenza.
Cos’è l’Africa per me? È una domanda alla quale ho qualche difficoltà a rispondere, anche dopo aver trascorso circa tre settimane nella missione di Haro Wato, un villaggio del sud dell’Etiopia, a circa dodici ore dalla capitale Addis Abeba.
UN SOGNO NEL CASSETTO…
Andare in Africa ha simboleggiato dare forma a un sogno che avevo sin da piccola: la mia catechista Ida era una suora missionaria comboniana che spesso raccontava della vita “in missione”… che mi ha subito affascinata. Passati gli anni, il sogno è rimasto, e nel 2018 ho contattato suor Carmela Coter, un’altra comboniana, e intrapreso un percorso di formazione incentrato su dialogo e comprensione; ci affiancava anche suor Marina Cassarino. La cosa più utile è stata il consiglio di recarsi in missione “in punta di piedi”, mettendosi “alla pari”, senza quell’atteggiamento che pretende di salvare il mondo dalla miseria, perché non è l’Occidente che deve salvare l’Africa. Anche Comboni lo aveva capito: «Salvare l’Africa con l’Africa»!
… CONDIVISO CON VALENTINA
Nell’agosto del 2019 sono partita. La mia compagna di viaggio è stata Valentina Caciotti: abbiamo preso l’aereo da Roma per Addis Abeba e di là siamo giunte in corriera ad Hawasa, dove ci attendeva suor Marisa Zorzan. Con lei, in auto, siamo arrivate alla sperduta missione di Haro Wato. Nonostante la differenza di età e il fatto che Valentina ed io non ci conoscessimo prima, è stato bello poter condividere l’esperienza con lei per i preziosi momenti in cui sentivamo il bisogno di confrontarci su ciò che vivevamo a fianco delle comboniane.
LE PRIME SCOPERTE
Nella scuola mi sono occupata delle lezioni d’inglese: nella classe l’età spaziava dai tre ai tredici anni, ed è stato bellissimo essere avvolta dalle voci vivaci di alunne e alunni. Con Valentina avevamo portato delle matite e dei colori, oggetti banali per noi ma non per loro, che con gioia agitavano fra le mani quei pezzi di legno che non erano semplici matite: rappresentavano un frammento del loro riscatto, un simbolo di libertà, qual è la scuola.
Nella piccola clinica della missione mi sono dedicata anche ad affiancare suor Madeleine Kapita (detta Mado) e gli infermieri locali durante la vaccinazione di bambini e bambine. Alle giovani mamme con le loro creature in braccio scattavo qualche foto e, quando le mostravo loro, gli occhi si illuminavano e luccicavano di commozione. L’amore materno è comune in ogni parte del mondo, ma quali possibilità avrebbero potuto offrire ai loro figli e figlie queste mamme? Si nasce tutti e tutte con la speranza di potersi riscattare, ma il mondo è davvero diverso e le opportunità, purtroppo, non sono le stesse.
FARSI PROSSIME
Sicuramente i momenti più intensi della mia esperienza missionaria sono stati i pomeriggi con suor Tilde Ravasi, quando facevamo visita alle persone nelle capanne: nella loro semplicità, avevano una fede tenace e un desiderio profondo di ricevere l’eucaristia. Quanta retorica accompagna i discorsi sulla fede e sulla Chiesa, ma fede e Chiesa sono anzitutto ascolto e prossimità. Le esperienze concrete di incontro con le persone, la disponibilità ad accogliere i dolori e le gioie della gente sono ciò che davvero costruiscono il nostro “essere Chiesa”.
Un pomeriggio, abbiamo fatto visita a una signora anziana e alla sua nipotina. Probabilmente erano due giorni che non vedevano cibo, perché quando ho dato del pane alla piccola, subito lo ha afferrato e ne ha fatto morsi talmente grandi quasi da soffocare. Da allora ci penso ogni giorno: è terribile non avere cibo a sufficienza, e ancor più terribile è rischiare di morire di fame.
QUALCHE TIMIDA RISPOSTA
Che cos’è l’Africa? Mi è ancora difficile rispondere a questa domanda. Generalmente associamo questo continente al caldo, al deserto e agli animali selvatici, ma l’Etiopia, nella zona in cui sono stata, è un’altra cosa; l’Etiopia è l’Africa che non ti aspetti. Come la vita, del resto: sempre un po’ di più o un po’ di meno di quanto pianificato, eppure sempre sorprendente.
Etiopia è il merkato, dove il tramestio di quel che c’è di cittadino (sia ad Addis Abeba sia ad Haro Wato) risuona nelle orecchie, sulla pelle e nel cuore. Etiopia è ciò che si coglie in un selam (saluto di pace) detto da chi incontri. Etiopia è l’odore del caffè che, da timida bacca rossa, si consegna all’oscurità di una tazza che ogni giorno assaporiamo.
Etiopia ha significato soprattutto “senso e importanza”. Chiamare per nome è conoscere e dare significato, così ho imparato nuove parole e la più bella di tutte è obboleettii che vuol dire “sorella”. All’inizio bambini e bambine mi guardavano straniti; per loro ero ferenji, cioè una straniera bianca. Ma, dopo qualche giorno, quegli sguardi si sono trasformati in risate di curiosità: non ero più un’estranea e le loro voci mi rincorrevano: «Obboleettii! Sorella!».
UN PASSO OLTRE I MIEI LIMITI
È nella parola obboleettii che ho scoperto il coraggio dell’accoglienza: quanto può fare paura la diversità, ma quanto può anche arricchire! Quando i bambini e le bambine mi correvano incontro, sapevo che avevano le pulci e i pidocchi, ma non m’importava: aprivo le braccia e facevo loro spazio. Come avrei potuto rifiutarli io, se era già stato il mondo dei privilegi a rifiutare loro?
Per la mia costante esigenza di ordinare tutto, l’Africa è stata una sfida. Ma il senso dov’è, se non nell’andare oltre i propri limiti? Se non nello strappare quello strato di cielo che abbiamo costruito pensando che fosse il massimo cui potessimo aspirare?
Ogni giorno sono grata per aver accolto questa sfida e sono grata ai miei genitori che subito mi hanno domandato se quest’esigenza d’Africa non fosse proprio da attribuirsi a suor Ida. Temevo potessero non capire, ma in quell’osservazione hanno manifestato tutto il loro supporto: la libertà è la cosa più bella che mi hanno insegnato!
Dopo quasi tre anni, ammetto che ancora non so far ordine nei miei pensieri, ma l’Africa è diventata misura per le mie azioni, perché va a bilanciare quella parte di me che tende al perfezionismo. Come mi ha detto una persona, il nostro non è il Dio della perfezione, ma dell’Amore. Il nostro Dio è quello della terra rossa dell’Africa, così terribilmente arida e mortale, ma anche così viva e spavalda.