«Sei brutto. Girati così non ti devo guardare. Non vi sembra brutto?».
Questa è la frase risuonata in una scuola del perugino. A pronunciarla un maestro, un supplente, di fronte una classi di ragazzini nei confronti di un bimbo di colore. Fatto poi, ripetutosi in un'altra aula che ospita la sorella maggiore.
Che si sia davvero trattato di un esperimento sociale o no, saranno le indagini a parlare. Ma come possiamo garantire che fatti di questo genere non accadano più?
Lo scorso 17 gennaio la rete europea Eurydice ha pubblicato il rapporto Integrating Students from Migrant Backgrounds into Schools in Europe: National Policies and Measures.
Lo studio, che fa riferimento all’anno scolastico 2017/18, propone un quadro sui dati demografici relativi all’immigrazione in Europa, sui risultati negli studi degli alunni migranti e sul loro benessere a scuola. Per quanto riguarda il supporto linguistico, lo studio affronta il supporto offerto agli insegnanti per far fronte ai bisogni degli alunni immigrati che, in alcuni paesi, prevede la presenza di assistenti e mediatori culturali per facilitare l’integrazione.
Secondo il documento, in Italia le cose non vanno male, anzi evidenzia come, con l’aiuto degli alunni di seconda generazione, si prevedano momenti di condivisione e supporto ai neoarrivati. Sono inoltre incoraggiate le attività extracurricolari, per aiutarli sia nell’apprendimento che nell’integrazione sociale, prevedendo anche il coinvolgimento dei loro familiari.
In una periferia di Roma gli insegnati si sono attivati per dare un volto a tutti quegli alunni stranieri iscritti, che non avevano mai frequentato. Docenti, alunni e genitori hanno abbandonato quell’aria di “gentile” accettazione del diverso per lasciare spazio ad una sempre più effettiva accoglienza lontana da giudizi.
Alcuni genitori, ad esempio, si sono messi a disposizione per trovare una soluzione ai comportamenti scorretti di Alessio, bambino Rom di 11 anni, offrendo il loro tempo per attività piacevoli come laboratori di cucina/pasticceria in cui inserirlo, invece di chiederne l’allontanamento.
In provincia di Benevento, ancora, c’è una rete di Comuni che grazie ai richiedenti asilo può tenere aperte le scuole, fermando lo spopolamento, dando lavoro ai residenti, trattenendo i giovani. Non diciamo sia semplice, o ovunque realizzabile, ma c’è un intero paese che sa cosa significa integrazione. Solo che, forse, non lo sostiene abbastanza.