Ogni anno, dal 2001, il 20 giugno si celebra la Giornata internazionale del rifugiato, indetta dall’ONU nel cinquantesimo anniversario della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati.
Per celebrare la Giornata, l’UNHCR ha lanciato la campagna Together we can do anything: tra i tanti lasciti della pandemia, infatti, c’è la consapevolezza che solo se ognuno fa la propria parte possiamo creare un mondo più sicuro per tutti.
Eppure, mentre nel mondo si celebra questa giornata, sulla rotta mediterranea si continua a morire nel tentativo di raggiungere l’Italia, la Spagna, la Grecia o Malta, per sfuggire a guerra, persecuzioni, conflitti, degrado ambientale. Nei primi mesi del 2021 si stima che siano 807 le persone morte o disperse in mare (dati al 14 giugno 2021). Sono 32 mila i migranti arrivati sulle coste meridionali dell’Europa, in gran parte via mare e partendo soprattutto dalla Libia, poco più di 2.500 sono arrivate via terra, dalla Grecia e dalla Spagna.
Tra questi, e altri dati che abbiamo già annoverato, non vengono conteggiati i migranti ambientali che oggi raggiungono quasi i 25 milioni. Il primo a coniare il termine fu l’agronomo statunitense Lester Brown, nel 1976. Lo usò per indicare le persone costrette a migrare a causa dei mutamenti delle condizioni ambientali. Oggi, per la prima volta nella storia, la stima delle vittime di catastrofi naturali supera quello di vittime di conflitti armati.
Nonostante alcuni passi avanti, gli individui o le comunità che si spostano a causa dei cambiamenti climatici hanno ancora poca protezione e poco riconoscimento a livello internazionale. L’Unhcr, l’Ue e alcuni Paesi stanno cercando di correggere la giurisprudenza, anche perché entro il 2050 si potrebbe arrivare a 150-200 milioni di «profughi climatici».
Ciò che preoccupa è che la soluzione più comune fin’ora adottata dalle forze politiche sia la costruzione di muri. Oltre a quello famoso tra Stati Uniti e Messico, anche in India si è costruito una frontiera fisica con il Bangladesh, uno dei paesi al mondo con la popolazione più vulnerabile all’aumento del livello del mare. Dal 1990, anche gli Stati membri dell’Unione Europea e dello Spazio Schengen hanno eretto circa 1.000 km di muro fisico. Ma quale governo può davvero credere che qualcosa di fragile come un muro possa essere utile a qualcosa?
Anche perché sono ancora più allarmanti le previsioni contenute nel rapporto “Migration and Climate Change” dell’IOM, che parlano di 200 milioni di migranti climatici entro il 2050. Una cifra altissima: in pratica una persona su 45 tra quelle che vivono sulla terra.
La prima domanda quindi non è se, ma quando e in che proporzioni le persone inizieranno a spostarsi a causa dei cambiamenti climatici?
La la seconda domanda è, allora, quando smetteremo di fingere che non esistano?