Per ragioni di etica della responsabilità sostengo che ci vogliono comunque delle regole affinché la libera circolazione delle persone nel mondo funzioni nell’interesse comune; regole ragionevolmente accettabili, in quanto corrispondenti a bisogni oggettivi e legittimi, da parte del migrante e da parte dei cittadini con cui il migrante intende andare a convivere per diventarne concittadino a tutti gli effetti.
Regole accettabili
Sulle “regole ragionevolmente accettabili” ai fini del trasferimento come “migranti economici (non-profughi)” da un Paese all’altro, ho già scritto su Combonifem. Sono regole che derivano da istanze note nel dibattito internazionale tra studiosi ed operatori sociali seri, non condizionati da consensi elettorali populisti.
In pratica e per riassumere in estrema sintesi:
1) dentità certificata con impronte digitali prima della partenza;
2) ero pendenze giudiziarie di rilievo;
3) assicurazione per assistenza sanitaria di durata non inferiore ai tre mesi dalla partenza;
4) dimostrazione di avere risorse per vitto e alloggio dignitoso e sponsor per almeno tre mesi;
5) accettazione dell’obbligo di ritorno (pena l’espulsione) dopo tre mesi in caso di non
assorbimento con contratto/i di lavoro regolare nel mercato del lavoro del Paese di insediamento/immigrazione;
6) cauzione a copertura di eventuali spese di espulsione e rimpatrio forzato.
Queste “regole ragionevolmente accettabili” ci sono già, ma nella realtà valgono solo tra Paesi “ricchi”. Per cui, tranne eccezioni, l’ingresso legale in un qualsiasi Paese dell’Unione europea, se non sei cittadino di un Paese “ricco”, di fatto oggi avviene solo se ti presenti alla frontiera di terra e ancora di più alla frontiera di mare in condizioni generalmente drammatiche come profugo. Ossia in fuga da situazioni che ti hanno obbligato a scappare e che potranno essere riconosciute valide in base alle tue dichiarazioni, cui devono seguire riscontri oggettivi, per l’ottenimento dello status di rifugiato.
Discriminazione assurda
In conseguenza della maxi-discriminazione nel rilascio dei visti in base al Pil del Paese, è sotto gli occhi di tutti quello che da alcuni anni sta succedendo in relazione alle politiche dell’accoglienza obbligatoria: ogni giorno si devono salvare da sicuro naufragio centinaia di persone stipate nei barconi diretti a Lampedusa o ad altri porti della Sicilia. Le fasi che in Italia caratterizzano adesso l’accoglienza obbligatoria dei profughi (autentici o meno che siano) che arrivano via mare, sono sostanzialmente tre.
Anzitutto (fase 1), dopo il salvataggio e il carico sulla nave, vengono attuati interventi di primissimo soccorso a tutela della salute a fronte di una casistica da emergenza sanitaria facilmente immaginabile, che va dall’ipotermia alle ustioni gravi, da presenza di soggetti con patologie tipiche e riconoscibili a gente addirittura in coma.
Subito dopo o in contemporanea (fase 2), mentre i profughi raccolti sono ancora sulla nave o appena sbarcati, entrano in campo le forze dell’ordine (Polizia di Frontiera, Carabinieri, Digos) per una prima identificazione delle singole persone (minori e adulti) da registrare ciascuna con un numero, un nome e possibilmente un minimo di generalità così come dichiarate (età, sesso e nazionalità) ai fini dell’avvio immediato, caricati su pullman a ciò predisposti, in un hub/hot-spot relativamente vicino o, se già sovraffollato, direttamente (e nel giro di 24-48 ore) in centri di raccolta regionali e provinciali per l’assegnazione provvisoria in tempo reale ai cosiddetti Cas (Centri di accoglienza straordinaria).
In questi Cas (fase 3), i profughi che non hanno fatto perdere nel frattempo traccia di sé (come avviene per una percentuale non irrilevante di loro per ragioni anche comprensibili) attendono con impazienza e frustrazione per mesi e mesi la definizione del loro status giuridico di aventi diritto o meno alla protezione internazionale richiesta.
Nella fase 1, considerati i mezzi a disposizione, la qualità dell’accoglienza obbligatoria si può senz’altro ritenere buona e spesso anche eccellente, tanto da essere oggetto di ammirazione in tutto il mondo per quello che riescono a fare quanti vi sono impegnati nell’adempimento dei loro compiti istituzionali. La stessa cosa non sembra si possa dire della qualità nella fase 2 e soprattutto nella fase 3.
Proposte snobbate
L’accoglienza obbligatoria in fase 2 e in fase 3 appare infatti di dubbia efficacia per gli obiettivi che il ministero dell’Interno si propone con il ricorso alle procedure rapide della cosiddetta “accoglienza diffusa”, presumendo facile l’accettazione da un giorno all’altro sul territorio di quelli che statisticamente non sarebbero, in fondo, più di 2-3 profughi ogni mille abitanti.
Presunzione erronea e pericolosa per le reazioni xenofobe con cui realisticamente bisogna invece fare i conti finché non si siano create preliminarmente le condizioni del passaggio del profugo da migrante sprovveduto che appare al suo arrivo, senza arte né parte né chiarezza di prospettive (e che dunque è altamente probabile venga vissuto come problema per il territorio che lo deve per forza ospitare), a immigrato adeguatamente preparato a entrare nel mondo del lavoro locale che oggettivamente ha bisogno di lui (e dunque può essere più facilmente vissuto come risorsa per il territorio, che a quel punto ne vuole favorire l’integrazione).
Proposte concrete per creare preliminarmente queste condizioni (che al momento non ci sono proprio), spendendo anche meglio i 35 euro di media al giorno per profugo oggi impiegati da subito per i Cas, sono state fatte inutilmente.
L’ultima e la più convincente, quella di Report. Per quali motivi snobbata, non facendola neanche entrare nel dibattito pubblico dei politici e degli alti funzionari governativi?
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