A livello europeo, quali sono i “diritti di comunicazione” dei rifugiati e migranti? Sono oggetti o soggetti del racconto mediatico? Come vengono rappresentati? Se lo sono chiesti organismi di chiese europee impegnate sul fronte della comunicazione e su quello dei migranti, giungendo alla seguente constatazione: in Europa la narrazione mediatica sul tema delle migrazioni può essere ampiamente potenziata. Lo osserva il Rapporto “Cambiare la narrazione. Rappresentazione mediatica di rifugiati e migranti in Europa” recentemente presentato a Bruxelles, e che parla di un vero e proprio “disegno di invisibilità”.
Lo studio, commissionato dalla Sezione europea dell’Assemblea mondiale per la comunicazione (World Association for Christian Communication – Wacc) e dalla Commissione delle chiese per i migranti in Europa (Ccme), e finanziato in larga parte dall’otto per mille valdese e metodista, mette in evidenza l’esiguo numero di articoli o reportage che parlano del rifugiato o migrante come persona in prima istanza. Sui giornali, quotidiani online e su alcune agenzie stampa presenti su Twitter di 7 paesi europei (Grecia, Italia, Spagna, Serbia, Regno Unito, Svezia e Norvegia) presi in esame durante tre giorni, solo nel 21% dei casi si dà un volto al migrante o rifugiato.
Questa percentuale crolla di molto quando l’individuo è di sesso femminile, ha rilevato la curatrice della ricerca, Francesca Pierigh, nel corso della conferenza stampa di presentazione del rapporto, aggiungendo che meno della metà di questo 21% ha riportato o virgolettato una dichiarazione della stessa persona rifugiata o migrante. “Nulla si impara relativamente ai loro bisogni, dolori, sogni, progetti”, ha detto Pierigh. Infatti, nella maggior parte dei casi il migrante o rifugiato è definito soltanto in riferimento alla sua caratteristica della “mobilità”.
Un trend nella narrazione mediatica che secondo chi ha commissionato la ricerca può e deve essere cambiato. “Il racconto mediatico continua a essere dominato da sensazionalismo e spettacolarizzazione. Un approccio che rifiutiamo – ha affermato Stephen Brown, giornalista e presidente della Sezione europea della Wacc –. Troppo spesso si parla di una ‘crisi dei rifugiati’ in Europa, quando invece siamo di fronte a una crisi della volontà politica e della mutua comprensione”.
Da evitare, secondo gli estensori del Rapporto, una narrazione “buonista”, che non aiuta la comprensione del fenomeno. “Il ‘giornalista buonista’ – si legge nel Rapporto – rischia di mettere l’accento sul migrante come vittima”. Pertanto, è preferibile un atteggiamento empatico, che tuttavia metta l’accento sulla descrizione imparziale dei fatti.
Tra le iniziative cui il rapporto guarda con favore figura quella italiana dell’Associazione “Carta di Roma”, che non solo ha elaborato una carta deontologica per i giornalisti che scrivono di migrazioni, ma costituisce anche un osservatorio su quanto viene pubblicato in tema sui media.
Il rapporto si conclude con una serie di raccomandazioni indirizzate a tre tipologie di attori che – tra le altre cose – vengono invitati ad interagire maggiormente, nel tentativo di costruire rapporti di fiducia, base necessaria per fare buona comunicazione. Sono: professionisti dell’informazione e organi di stampa; gruppi e organizzazioni di rifugiati; organizzazioni della società civile che lavorano per e con i migranti e rifugiati.