Mercoledì, 27 Febbraio 2019 09:18

Una settimana davvero speciale

Dall’infanzia sento abitare in me come una forza che non si può spiegare, come un seme ignoto pronto a germinare.
Qualcosa che mi chiamava, ma che prima non percepivo con chiarezza. Qualcosa di invisibile ai miei occhi già sussurrava alle mie orecchie, ma io mi impedivo di ascoltare.
Quando mi sono iscritta alla Missão mais (Missione più), esperienza di una settimana a Camarate, zona di forte immigrazione nella periferia di Lisbona, non sapevo bene che cosa mi attendesse; conoscevo poco quel progetto e per me Lisbona era una città completamente nuova. Le missionarie comboniane, poi, erano una congregazione sconosciuta e con uno stile di vita totalmente ignoto.

Scoperte inattese
Dato che il gruppo era religioso-missionario, nella mia mente immaginavo che avrei offerto aiuto, partecipato ad alcune messe e trascorso il tempo in preghiera.
E così sono partita, del tutto ignara della trasformazione che questa esperienza avrebbe generato in me.
Appena arrivata, il primo giorno sono stata accolta molto bene da padre Carlos, da suor Rosineide e dagli altri membri del Jim (Giovani impegno missionario in Portogallo); sentirmi “a casa” con loro è stato istantaneo.
In effetti, ogni giorno c’erano momenti di preghiera al mattino e alla sera; quando era programmato, avevamo anche un incontro, e dopo il pranzo, lavati i piatti e bevuto il caffè, andavamo per piccoli gruppi a visitare i diversi ambienti del quartiere.

Non dimenticherò mai il primo giorno! È difficile tradurre in parole il senso di colpa, di indifferenza ed egoismo provati quando ho scoperto che non è necessario andare tanto lontano per incontrare una realtà dove le opportunità che io ho avuto e ho non esistono proprio.

Appena dietro l’angolo di casa ho scoperto persone afflitte da una povertà disarmante. Uno shock!
«Che ingiustizie sono queste? – mi sono chiesta –. Quale dimenticanza e abbandono? E io che cosa sto facendo perché questo cambi?».

Comunque, al di là di questa prima impressione, mi ha riempito il cuore un sentimento di felicità: per il sorriso dei bambini e delle bambine, per la gioia contagiosa di queste comunità e per l’orgoglio con cui raccontano la loro storia.
La loro forza di voler vivere parla forte e chiaro, e mi ha fatto guardare attorno e dire: «Questo è Dio e Lui è qui!».

Nuovi quesiti
Ho scoperto che coloro che ci passano accanto non camminano soli e non ci lasciano soli: lasciano un poco di sé e portano con loro un poco di noi. Sono persone e storie che dobbiamo conoscere, momenti che dobbiamo vivificare per imparare e insegnare, reciprocamente, qualcosa di importante nel cammino della vita.
Per me è stata un’esperienza davvero speciale.

Durante la settimana, i dubbi e le paure che avevo all’inizio si andavano trasformando in risposte. Sono cadute le barriere e sono emersi nuovi quesiti. I momenti di preghiera sono diventati come porte aperte; le persone e le loro storie sono diventate ispirazioni.
Mai ho vissuto le giornate così intensamente; mai i legami sono stati così forti come quelli che si sono generati in quella settimana. Ne parlavo costantemente, tutti i giorni. Ed è bello percepire che tutta questa intensità è stata sostenuta dall’amore che ho attinto da Cristo.

Che cosa è più importante per me? Quali sono le mie paure? Qual è la mia vocazione? La “ Missione più” 2018 termina qui?
Queste domande hanno segnato il vissuto di quella settimana: con l’aiuto di tutti e tutte, direttamente e indirettamente, ho potuto percepire che il seme che era in me, pronto a germinare, altro non era che la chiamata di Dio.
Ogni persona è invitata a fare qualcosa, qualcosa che la renda felice, e questo si chiama “vocazione”.
Io ho imparato ad ascoltare e comprendere la mia. Non ho più paura: accetto la “mia missione”.

E tu, accetti la tua?

Last modified on Mercoledì, 27 Febbraio 2019 09:27

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