Sono arrivata a Wau nel 1955: avevo 26 anni. Fino a Khartoum ho viaggiato con l’aereo di linea inglese, poi con un piccolo aereo a elica. A Wau siamo atterrati su un prato d’erba. Sono stata la prima comboniana a viaggiare in aereo, perché all’ospedale era urgente sostituire il personale inglese che stava lasciando il Sudan. Noi suore eravamo tre: due infermiere, Albertina Modenese e io, e un’ostetrica, Emanuella Castagna. Tre volte al giorno, con il casco in testa, si andava e tornava in bicicletta coprendo una distanza di circa due chilometri.
A quel tempo i reparti comprendevano: maternità, chirurgia, medicina, pediatria. Un reparto era riservato ai militari e avevamo anche padiglioni di isolamento per tubercolosi e lebbra. I prigionieri venivano ricoverati nei reparti normali, ma erano piantonati da una guardia e incatenati al letto.
I medici del Nord poco amavano i malati del Sud: succedeva che una piccola ernia venisse trascurata e lasciata scoppiare, e il paziente morisse.
La situazione precipitò alla fine degli anni Cinquanta: la nostra gente subiva arresti arbitrari e torture; all’ospedale vedevamo i loro corpi martoriati. Anche il personale che lavorava con noi ogni tanto spariva: erano arrestati e spesso maltrattati per estorcere informazioni sui ribelli... e anche su di noi.
Sentivamo che la nostra presenza era mal tollerata: c’era già aria di espulsione. Allora, per garantire che il servizio infermieristico potesse continuare anche senza di noi, come suore avviammo una scuola interna all’ospedale che garantisse al personale locale una qualifica professionale certificata dal governo.
Avevo conseguito il diploma di infermiera in Inghilterra: recuperai i miei libri di testo e il corso ebbe inizio. Era in lingua inglese ma secondo i programmi del Nord Sudan. Dopo quattro anni di lezioni e pratica, i 24 studenti da noi preparati vennero esaminati a Wau da personale appositamente giunto da Khartoum: 23 furono promossi.
Quando arrivarono i risultati, noi eravamo già al domicilio coatto. I nostri studenti ci comunicarono la notizia di nascosto, perché nessuno di loro poteva parlare con noi apertamente. Nel frattempo avevamo sponsorizzato un paio dei migliori studenti perché divenissero a loro volta istruttori nella scuola infermieri.
Alla fine di febbraio 1964 partimmo da Wau: all’aeroporto i militari controllarono tutto ciò che potemmo portare: una piccola borsa a mano. Prima di salire, il vescovo Ireneo Dud ci benedisse: anche a lui tremava la mano.