Mi chiamo Luisa, e vengo... da tanti posti.
Sono nata a Camposampiero (Padova), ma per lavoro mi sono poi piacevolmente spostata per tutta la provincia: Rubano, Cadoneghe, Padova città e alla fine anche a Cinto Euganeo. Questo è importante?
In fondo sta tutto in un raggio di 50 chilometri. Bazzecole per chi pensa alle distanze africane!
Ma la cosa carina che ho imparato è che ogni luogo è speciale. È una mistura di gente, storia e natura; e bisogna aver la pazienza di saperlo ascoltare.
Sono un’educatrice, ormai da un po’, e ho la fortuna di lavorare per una cooperativa che mi ha chiesto di cambiare molto spesso mansione. Attualmente lavoro molto con persone che hanno uno svantaggio di vario genere e, insieme, promuoviamo un servizio di ristorazione sociale sui Colli Euganei. Diciamo che è una specie di rifugio sperso... per le colline padovane.
Nel 2013, però, ho lavorato moltissimo con la prima, primissima accoglienza dei rifugiati: sia con i gruppi famiglie che nei campi di prima accoglienza tristemente famosi in Veneto: la Prandina, Bagnoli, Cona.
E lì la passione per l’Africa si è riaccesa.
Incontri fortuiti
Nel 2015, il mio primo viaggio, in Uganda. Avevo scelto di visitare dei progetti umanitari italiani e nel tragitto da Kampala a Moroto facemmo una bella sosta a pranzo da un padre comboniano: l’accoglienza mite, familiare, gioiosa e concreta mi è rimasta nel cuore.
Nel 2016 feci un altro viaggio nello stesso luogo, consolidando il mio affetto per questo continente che da solo è un mondo intero. «Che fare, Luisa? Non si può andare sempre alla fortuna: in questa passione bisogna mettere un po’ di ordine», mi dissi appena tornata, e ricordai la missione comboniana e la sensazione di una grande affinità, reale o presunta.
Appena le condizioni lavorative me lo hanno permesso, ho telefonato a padre Celestino Predevello, che mi ha messo in contatto con suor Carmela Coter. Con molta pazienza e rispettando i miei tempi lavorativi, mi ha incontrato molteplici volte per una bella formazione sullo spirito missionario, sulla figura di Comboni e sulle possibilità del mio servizio.
Ripartenza un po’ speciale
Non stare ferma è una dimensione della mia vita, come la partenza: mi hanno allenata molti anni di scoutismo e di mille avventure. L’ho sempre vissuta con la serena quotidianità dei gesti: si fa lo zaino, le foto ai documenti, si controlla il biglietto, si comincia a salutare amici e parenti, e poi… gli ultimi acquisti in farmacia.
Ma stavolta la tribù di bella gente che mi accompagna (amici, conoscenti, parenti) mi ha circondato di abbracci fino all’aeroporto e questo gesto, bellissimo e commovente, è stato il primo pezzettino di qualcosa di nuovo che doveva nascere; è cominciato il tam-tam del cuore: «Luisa, dovevi proprio partire? Dove vai? Non sai nemmeno comunicare bene…».
Sorpresa!
Sono atterrata in Mozambico, a Nampula, e di nuovo mi sono detta: «Lu, sei la solita! Fai le cose con impeto, e poi? Cosa vuoi fare qui, se non schiattare, con questa umidità del 100%?».
Ma l’esperienza è iniziata. Incontro le suore: Rita, Maria Pia, Carmelina e Laura. Sono state un primo assaggio di quello che è “essere dono”, “essere in missione”, essere felici e semplici, anche in mezzo a mille difficoltà e molte responsabilità. Il giorno seguente, con suor Laura Malnati sono andata a Carapira: suor Eleonora, Teresina e Clarinda mi hanno fatto sentire subito a casa, e non è scontato.
Per 15 giorni il mio temperamento, così come il mio corpo, si è dovuto abituare: capire e raccogliere le nuove coordinate. Quei primi giorni sono stati molto duri, perché smontare le mie certezze e restituirmi l’impatto con la realtà vera (anche di me) è stato come togliere dei chiodi ben piantati nelle assi: è logico rinunciare.
Proprio per questo ringrazio la sorte, o la Provvidenza, per avermi mandato a Carapira. Credo che solo così ho avuto la possibilità di accogliere le esperienze che avevo intorno:
- un Paese moralmente e politicamente in difficoltà;
- una missione molto avviata, che vive la frustrazione di non vedere i risultati – o tutti i risultati – delle lunghe fatiche;
- un gruppo di persone (le sorelle comboniane di tutte le case conosciute, i padri di Carapira e i laici) che vivono la comunità religiosa con stili differenti, ma con grande gioia e autenticità;
- la potenza e la sfrontatezza di un popolo giovane come quello mozambicano, che vuole e chiede di vivere, e compie le sue mille fatiche a dispetto di una classe politica in panne;
- una meravigliosa realtà che potrebbe essere scambiata per normalità: i lares, luoghi dove le ragazze di diverse età possono studiare serenamente. Sono dei veri e propri miracoli educativi dove con poco si fa il meglio!