Venerdì, 29 Maggio 2020 15:43

Amazzonia, bellezza ferita

Ci sono parole che da sole valgono più di fiumi d’inchiostro: ce lo insegnavano a scuola, quando studiavamo l’ermetismo. Ne ho avuto evidente conferma quando, lo scorso settembre, nel leggere l'Instrumentum laboris del Sinodo per l’Amazzonia, al n. 23 mi sono trovata di fronte all’espressione «bellezza ferita», che allude alla stessa Amazzonia

«Bellezza ferita»: ho subito percepito la profonda verità di queste due parole fissate dai miei occhi lucidi. Lontani da quelle terre da oltre un anno e mezzo, hanno ripercorso con la memoria tante situazioni e tanti volti che, con estrema e sorprendente precisione, incarnavano quella sintesi poetica.

Scempio non solo ambientale
Ho avuto la grazia di raggiungere il Brasile nell’agosto del 2011 e vi ho vissuto due esperienze di circa tre anni, in due distinte realtà amazzoniche: i primi anni in un contesto più rurale, Santo Antônio do Matupi, e gli ultimi a Porto Velho, capitale dello Stato di Rondônia.
Quando penso alla «bellezza ferita» amazzonica non mi riferisco tanto alla questione ambientale, seppur le due comunità in cui ho dimorato si trovassero esattamente in quella regione conosciuta come “Arco della deforestazione”. Le immagini satellitari rivelano la forma arcuata dello scempio di migliaia di ettari di foresta, devastata per fare spazio ad allevamenti estensivi di bovini, alle monocolture e allo sfruttamento illegale di legno pregiato e minerali. La «bellezza ferita» è quella della gente: come ha ricordato papa Francesco nella Laudato si’, «non esiste una crisi ambientale e una crisi sociale, ma un’unica crisi socio-ambientale» (n. 138).

Intreccio di migrazioni
I miei contatti con le popolazioni indigene sono stati pochi e circoscritti; esperienze puntuali.L’Amazzonia che ho incontrato più da vicino è intrecciata con la regione Nord-est del Paese. Il legame risale al Settecento per i ribeirinhos, coloro che abitano le rive dei fiumi, ma è molto più recente per coloro che hanno raggiunto l’Amazzonia dagli anni Settanta del secolo scorso, con un processo migratorio originato dal Nord-est e anche da alcune regioni meridionali del Brasile: Santa Catarina, Paraná e Rio Grande do Sul.

Una bellezza intrinseca
Nel lavoro con i giovani, mi ha colpito la scarsa opportunità che hanno di accedere a un’istruzione di qualità. Nelle zone più interne e isolate molti insegnanti, qualificati in una o due materie, suppliscono anche per le altre, pur senza averne la competenza. La scuola, a volte, è raggiungibile soltanto con la barca, e ciò subordina la frequenza alle condizioni meteorologiche e stagionali, ovvero alla piena o alla secca dei fiumi.

Al mio arrivo, però, ciò che ho trovato davvero impressionante è stato incontrare donne che avevano più o meno la mia età – allora avevo 29 anni – e che erano già nonne o avevano figli e figlie grandi. Maternità precoci si intrecciavano a storie di abusi in famiglia o di servitù domestica, uno dei casi più comuni di tratta di persone in Amazzonia. Come la natura, rigogliosa e ricca in biodiversità, è considerata perlopiù una risorsa da sfruttare in maniera predatoria, così anche i rapporti interpersonali: spesso si piegano alla legge del sopruso, dell’usa e getta e della prevaricazione su chi è più fragile. Eppure, le ferite non riusciranno mai a deturpare la bellezza intrinseca, incontenibile, traboccante di fecondità e creatività della natura, dei giovani, delle donne e delle comunità che ho incontrato.

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Last modified on Venerdì, 29 Maggio 2020 15:52

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