Mi chiamo Giulia, ho 34 anni, vivo a Barletta e sono insegnante di sostegno in una scuola primaria. Da quando avevo 18 anni ho iniziato a “viaggiare per condividere” e a 24 ho iniziato un percorso di spiritualità al Centro missionario di Modena, la mia città. Lì ho conosciuto padre Davide De Guidi e il Gim di Padova: mi porto ancora nel cuore i sei mesi vissuti in Mozambico.
Al mio arrivo a Nampula, nel luglio 2017, altalenavo fra la nostalgia di casa e la gioia di conoscere la missione di cui avevo tanto sentito parlare. Avevo anche paura di non essere all’altezza del servizio assunto, ma le 58 ragazze del Lar Elda, una casa-famiglia delle comboniane, hanno contribuito a rendere speciale quel periodo. Con semplicità, affetto ed entusiasmo mi hanno accolto nella loro grande famiglia. Insieme abbiamo vissuto momenti intensi di tenerezza, di comunione e di perfetta letizia.
Fin dai primi giorni, le suore della missione mi avevano affidato un gruppetto di ragazzine cui insegnare a leggere e a scrivere. Alcune conoscevano solo le vocali, altre riconoscevano tutte le lettere dell’alfabeto, altre ancora iniziavano già a leggere le sillabe. Per ognuna era necessario un percorso di apprendimento personalizzato.
Ho preparato del materiale per fare esercizi ogni giorno, mattina e pomeriggio. La fatica era tanta e i risultati pochi. Le bambine cominciavano a dare segni di insofferenza: piangevano e sbuffavano. Alla loro impazienza si aggiungeva la mia frustrazione, perché non prendevano sul serio il lavoro che stavamo facendo e rinunciavano prima ancora di tentare.
Mi hanno subito colmata di dolcezza e premure, ma allo stesso tempo mi inondavano della sofferenza, umiliazione e rabbia che portano dentro e che manifestano con silenzi, aggressività o insistenti richieste di attenzione.
Ero sconvolta e sfiduciata, ma Dio mi ha dato la possibilità di fermarmi, riflettere e rileggere quanto stavo vivendo. La parabola del seme che cresce spontaneamente in segreto mi ha dato coraggio di non mollare: la missionaria è chiamata ad essere compagna di vita del popolo, con tenerezza. Nulla di più. Quando si comporta così, ha già compiuto la sua “missione”.
Ho capito che il vero bisogno di queste bambine non era tanto imparare a leggere e a scrivere, quanto sentirsi amate. Hanno un cuore assetato di relazione e vicinanza; alla sera la richiesta di tenerezza è ancora maggiore.
Ed eccomi a dispensare abbracci, carezze e baci. E quando hanno iniziato a percepire che volevo bene proprio a loro, con la loro storia e le loro ferite, e che a voler loro bene ricevevo tanto anch’io, le mie piccole studenti sono riuscite, con grandi sforzi, a fare i loro piccoli progressi.
E proprio quando mi sono liberata dall’ansia del “rendimento”, godendo dell’affetto che le ragazze mi elargivano quotidianamente, era tempo di tornare in Italia. Ho pianto, per timore di non avere fatto abbastanza per le mie piccole sorelle, ma mi è venuto in soccorso padre Davide: «Dio a volte ti affida delle situazioni e delle persone, ma non vuole che tu te ne appropri».
Non ci avevo mai pensato, ma effettivamente l’incontro vero non diventa mai possesso.
Al rientro in Italia ho capito che il mistero di quei sei mesi di missione poteva essere svelato solo a pochi. Un anno fa mi sono sposata e in viaggio di nozze siamo andati in Mozambico, a riabbracciare le bimbe e ragazze del Lar Elda!