Martedì, 30 Novembre 2021 18:42

Piccole donne crescono

La mia prima missione in Karamoja è a Namalu: vi sono accolta nel 1985 da Lorenzina Magon, Agnese Valieri e Firmina Fusi. È un anno particolare: Yoweri Museveni vince la guerra civile e genera timori di rappresaglie; la carestia, conseguente all’invasione dell’Uganda da parte della Tanzania per destituire Idi Amin nel 1980, miete ancora vittime e per l’insicurezza che dilaga anche la stazione di polizia è rimasta vuota

Nel 1985, il Karamoja è uno “spettro” abbandonato a sé stesso: le scuole sono pressoché inesistenti e i centri sanitari rarissimi. Gli abitanti di Namalu sono governati, secondo la tradizione ancestrale, da anziani che si succedono per “gruppi di età” in relazione all’iniziazione da guerrieri ad adulti. Si sentono forti e liberi, e io rimango colpita dalla loro schiettezza. Nelle riunioni tutti gli anziani possono intervenire; raramente qualche giovane, mai le donne: la mia missione è dar loro valore attraverso l’educazione.

Presenza trasformante
La comunità cristiana di Namalu è molto piccola ma vivace, e le donne ne sono il pilastro. Per loro suor Firmina aveva creato un “club” dove somministrava anche rudimenti di igiene e nutrizione. Per integrare la dieta, aveva suggerito di piantare papaie e altri alberi da frutto che non richiedevano particolari cure, ma loro ripetevano: «Che ce ne facciamo degli alberi se dobbiamo sempre fuggire?». La nostra risposta era: «Saranno utili a chi arriva. Altri li piantano per voi dove andrete!». In quegli anni, però, l’insicurezza diffusa e la vita nomadica impediva alle donne di comprendere la portata della nostra esortazione. Comunque, con il tempo, la missione è stata un catalizzatore: attorno vi è cresciuto un grande villaggio, e anche le scuole primarie e i servizi sanitari di base hanno ripreso a funzionare.

In costruzione
Tra le donne karimojong mi sono sentita sorella fra sorelle. Da loro compravo l’erba per costruire i tetti delle capanne, ma a scuola le ragazze erano pochissime. Così nel 1988 decidiamo di avviare una scuola primaria femminile nella missione: il primo anno arrivano 35 bambine, l’anno dopo 53. L’edificio in muratura era in costruzione, ma le lezioni si tenevano in capanne erette con l’aiuto delle donne e degli uomini della comunità cristiana di Namalu. Il Programma alimentare mondiale procurava fagioli e polenta, che noi abbiamo integrato con le verdure dell’orto, inizialmente del tutto sconosciute in quella zona. «Che cosa sono?», chiedevano scettiche le studenti. Ma la ong Svi di Brescia ha poi sviluppato tecniche agricole che hanno molto migliorato la sicurezza alimentare e ridotto le razzie di bestiame.

Passione per l’educazione
La cultura karimojong è poligama. Le ragazze vengono date in moglie poco più che adolescenti. Alcune giovani delle famiglie cristiane di Namalu, però, si erano talmente appassionate allo studio da far pressione sulla propria famiglia per continuare la scuola superiore a Moroto.
Passati molti anni, mi trovo a Moroto e due donne sui 25 anni mi salutano: «Suora, non ci riconosci? Siamo tra le tue prime scolare di Namalu che completarono la primaria: ora insegniamo a Moroto».
Dal momento che poche adolescenti potevano continuare a studiare, la scuola femminile di Namalu è diventata “mista” per garantire che l’ultima classe (equivalente alla terza media) avesse 50 studenti.
Nel 1997 contava 250 ragazze e circa 70 ragazzi: tante erano le bambine che iniziavano, molte meno quelle che potevano concludere il percorso. Nel 1999 la missione di Namalu, ormai ben avviata, viene affidata a una congregazione locale, le Suore del Sacro Cuore, che erano state formate da noi comboniane.

 

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Last modified on Martedì, 30 Novembre 2021 18:49

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