Jenin, Tel Aviv, Gerusalemme, Nablus, Hebron… Gli scontri hanno radici profonde, che affondano in pregiudizi e rivalità ataviche.
Il 2023 è stato un anno davvero particolare per le tre religioni che fanno risalire la loro origine ad Abramo: ebraismo, cristianesimo e islam. La Pasqua ebraica (Pesak), la Pasqua cristiana e il mese di Ramadan si sono intrecciate e sovrapposte dall’inizio di aprile, attirando a Gerusalemme una moltitudine di fedeli provenienti da varie parti del mondo
L’afflusso di persone, intenso e concomitante, non è stato facile da gestire a causa di pregiudizi e inimicizie che per secoli hanno contrapposto le tre religioni.
Una città a pezzi
Lo spiegamento di forze dell’ordine israeliane è imponente: il 4 aprile irrompono nella moschea Al Aqsa, con scontri violenti sulla vasta spianata che prima del 70 d.C. ospitava il tempio ebraico e da secoli le moschee musulmane. In ritorsione, dalla striscia di Gaza vengono sparati razzi contro Israele: non è proprio un clima di festa.
La sera del 6 aprile, Giovedì Santo, la processione cristiana scende dal monte degli Ulivi per salire al luogo dove Gesù è stato imprigionato dai capi dei giudei. Migliaia di persone, con una marcata presenza di comunità cristiane di lingua araba, che in Medio Oriente sono una minoranza della minoranza, incrociano gruppi del giudaismo ultra-ortodosso che hanno terminato da poco la preghiera al “muro del pianto”, unico resto del loro sacro tempio distrutto dai legionari dell’Impero Romano. È notte, e le migliaia di candele accese infastidiscono alcuni ebrei del sionismo religioso, disgustati dalla presenza di tante persone “impure”che cantano «Gesù è il messia», perché per Gesù, anche se ebreo, quel tempio non era più l’unico luogo della presenza di Dio.
In concomitanza delle festività religiose la tensione esplode tra ebrei e musulmani, ma serpeggia anche tra musulmani e cristiani, con espressa indicazione a entrambi di evitare il quartiere ebraico. Per la Pasqua ortodossa, il governo israeliano limita addirittura l’accesso alla città vecchia: solo 1.800 fedeli possono entrare al Santo Sepolcro, ma la replica sdegnata delle autorità religiose a difesa delle decine di migliaia di fedeli già presenti in città non si fa attendere.
Spiritualità, antidoto alla violenza
Non ovunque, però, si respira questa mutua esclusione. Per il gruppo Elija Interfaith Institute, organizzazione interreligiosa internazionale fondata nel 1997 da Alon Goshen-Gottstein, il periodico incontro “Pregare insieme a Gerusalemme” diventa occasione per celebrare insieme le tre feste religiose. Dal 2015 uomini e donne di fede ebraica, cristiana e islamica si incontrano ogni mese per crescere nella reciproca conoscenza e condividere la sapienza dei propri “testi sacri”. Anche il 30 marzo 2023, in vista delle festività, si incontrano e condividono il significato che la Pasqua ebraica, quella cristiana e il Ramadan assumono rispettivamente nel proprio cammino di fede. E per concludere il digiuno giornaliero degli uomini e delle donne di fede islamica, questa volta c’è una cena condivisa: il futhar. Questa iniziativa, che negli anni del covid è continuata da remoto, permette di crescere nel reciproco riconoscimento. In Israele non è usuale ascoltare un canto in ebraico accompagnato da musica araba, ma in questo gruppo è normale.
Insieme, a servizio della vita
Anche le Suore comboniane fanno parte del gruppo Elijia, e il loro dialogo interreligioso si concretizza ogni settimana nella collaborazione con i Medici e i Rabbini per i diritti umani. Salvaguardia il diritto alla salute e all’educazione delle comunità beduine coinvolge ebrei, cristiani e musulmani, che insieme si prendono cura di loro, relegate ai margini della società israeliano-palestinese. Dal 2008, il servizio all’infanzia e alle donne beduine Jahalil, di religione islamica, per le Comboniane è il luogo dell’incontro e della condivisione della vita.
La relazione con l’Islam cresce giornalmente anche attraverso la scuola materna, inaugurata nel 1967, quasi contemporaneamente all’inizio della loro comunità sul Monte degli Ulivi. Accoglie l’infanzia araba, musulmana e cristiana, adottando un programma che include l’educazione alla pace e alle dinamiche non violente, programma svolto anche nelle scuole materne delle comunità beduine.
La pace si costruisce anche così.