Appena il tempo della preghiera e di raccontarci la giornata durante la cena in comunità, che il telefono squilla: da un villaggio lontano è arrivata all’ospedale una mamma che sanguina profusamente.
Ha viaggiato su un mezzo di fortuna per cinque ore. Chiedo: «È a termine? Il bimbo è vivo?». «Sembra di sì – rispondono dal reparto –, ma la donna è pallidissima». Quando arriviamo nella maternità dell’ospedale la vedo afflosciata sul letto della sala parto in un lago di sangue. Mi avvicino: il battito del cuore del bebè è lento ma c’è, la mamma è molto pallida, ma si può tentare l’intervento. Con grande velocità ci precipitiamo in sala operatoria.
Iniziamo. La mamma sanguina pochissimo. Il colore del suo sangue ci fa rabbrividire: sembra acqua.
Estraiamo la bimba: flaccida, cianotica, ma viva! La brava ostetrica la ventila per qualche minuto. La piccina si riprende e per la gioia di tutti fa il suo primo vagito! Finiamo il cesareo e ringraziamo il Signore. Il giorno seguente riusciamo a trovare una sacca di sangue per la mamma. Papà e mamma, insieme a noi, sono fuori di sé dalla gioia e dalla gratitudine. Sono una coppia povera e semplice; davvero bella. Il papà mi confessa che in quell’interminabile viaggio verso l’ospedale pensava che la moglie morisse. «Perdeva tantissimo sangue...». Qui capisci che sangue significa vita, e Dio lo ha dato per noi!
Dopo alcuni giorni la coppia torna al villaggio con la piccola Adut, così l’hanno chiamata. Là li aspettano gli altri figli. Non hanno soldi per pagare il piccolo contributo richiesto per l’operazione, ma ci promettono che venderanno una mucca. Mantengono la promessa. Dopo qualche settimana tornano raggianti con la loro piccola. Li riconosco e prendendo la bimba esclamo: «Adut».
Il papà sorridendo precisa: «Adut Combonia!», evidentemente in onore dell’ospedale San Daniel Comboni!
(Marianna Santin, missionaria comboniana, medico-chirurgo, in Sud Sudan dal 2012)