«Abbiamo visitato la città di Agadez, la capitale Niamey e i loro dintorni, accompagnati da persone del luogo membri di associazioni fidate e della Chiesa locale» racconta Laila Simoncelli ai microfoni di Radio Vaticana. «Il Niger è un paese vicino alle nostre vite. Lo conosciamo attraverso gli occhi dei richiedenti asilo, delle ragazze che scappano dalla prostituzione, dei bambini e delle donne. Siamo andati lì per ripercorrere i tratti della migrazione, soprattutto nelle città di Niamey e Agadez, e per portare un messaggio di pace solidarietà, amicizia».
Quello che colpisce, dal racconto di Laila, è vedere i giovani ragazzi nascosti nei ghetti ad aspettare di attraversare il Shael, convinti di arrivare all’Eldorada Europa. Disposti anche a morire, piuttosto che tornare indietro o restare in quelle terre. Arrivano dritti al cuore anche gli sguardi delle tante, troppe ragazze nigerine intrappolate nel mondo della prostituzione. Incapaci di tornare ad una “vita normale”, impossibilitate a scappare attraversando il Shael.
Un Paese catapultato nel caos. «I migranti che vogliono venire in Europa sono solo una piccola goccia, rispetto a tutto il resto dei migranti – spiega Laila nel suo reportage su Interris -. Ciad, Mali, Burkina Faso, Nigeria: in tutti i paesi limitrofi i confini sono stati chiusi e a causa delle guerre e in Niger si riversano moltissimi sfollati. Donne, anche con 6, 7 bambini a testa, che vivono in tuguri di plastica, capanne, in completa povertà».
E gli impegni Europei? La questione, agli occhi di Laila e Gennaro, è molto chiara. L’Europa è intervenuta per aiutare il Niger, soprattutto per controllare le frontiere. Ma sembrano interventi totalmente mossi da motivi di interesse. In Niger, infatti, ci sono miniere di uranio in grado di produrre energia per molti dei nostri Paesi. Eppure, in Niger, l’elettricità non c’è. Allo stesso modo molte imprese europee investono qui, ma i profitti tonano ai paesi ricchi.
Quello che ci si aspetta, allora, dall’Europa, non è tanto l’accoglienza, né l’invio di ulteriori squadre di soldati.
Ma semplicemente una solidarietà più autentica. Più solida. Che permetta di costruire relazioni tra le persone.
E tra i popoli.