L’esodo disorienta: abbandonare tante persone che hanno un nome e un volto è angosciante, ma non ci sono alternative. Dalla missione di Mupoi, nell’omonimo vicariato apostolico nel sud-ovest del Sudan, le comboniane devono rientrare in Italia, ma per poco.
Monsignor Domenico Ferrara, prefetto apostolico del vicariato, chiede a tre di loro di continuare il servizio alla nascente congregazione femminile di Nostra Signora delle Vittorie. Nel 1965 le giovani suore sudanesi, di etnia zande, erano scampate all’aggressione dell’esercito governativo alla missione di Mupoi, assunta nel frattempo dal clero locale. Dopo una fuga rocambolesca, insieme a don Joseph Gasi e a don Martino Penisi, diciannove di loro, fra religiose, novizie e postulanti, trovano rifugio a Obo, zona abitata dalla medesima etnia zande nella Repubblica Centrafricana; gli artificiosi confini tracciati dalla Conferenza di Berlino (1884-85) hanno spesso smembrato uno stesso popolo in nazioni diverse.
Suor Bartolomea Pedretti, comboniana bresciana classe 1921, era stata superiora generale della congregazione fino all’espulsione; in seguito le giovani religiose si erano organizzate in modo autonomo, ma per monsignor Ferrara, loro fondatore, era opportuno un ulteriore tempo di affiancamento. Così il 3 febbraio 1968 quattro missionarie aprono la comunità di Obo e, profughe tra profughi, danno vita alla prima presenza delle comboniane nella Repubblica Centrafricana.
Da quell’umile inizio ha preso avvio una solidarietà intensa, che negli anni si è estesa ad altri popoli del Paese e ha raggiunto anche il vicino Ciad.