L’America Latina è in ginocchio: il coronavirus trova facile preda nella maggioranza della popolazione indigente ammassata nelle favelas, dove rispettare il distanziamento fisico rimane un sogno irrealizzabile. Le precarie condizioni igienico-sanitarie prevalenti nelle periferie urbane più povere e nelle zone rurali più isolate già insidiano la salute in assenza di covid-19, figuriamoci in tempo di pandemia. Senza considerare che alla crisi sanitaria si aggiunge quella socio-economica innescata dall’interruzione delle tante attività informali che assicurano a molti e molte il pane quotidiano.
Il collasso di Guayaquil
In Ecuador il primo caso accertato di covid-19 risale al 29 febbraio.
Al momento di andare in stampa il Paese registra ufficialmente 49.097 accertati, di cui 4.087 decessi. All’inizio di aprile, durante le settimane di maggior emergenza, nella provincia di Guayas si concentrava il 70% dei casi e il capoluogo, Guayaquil, con 9.100 contagiati, vedeva il collasso dei presidi sanitari e dei servizi funerari, con i morti lasciati insepolti per giorni, ammucchiati per la strada o nei bagni degli ospedali, prima di venire deposti nelle fosse comuni.
Il dolore di non poter assistere i propri cari e neppure confortarli al momento del trapasso è stato lacerante, come in ogni altro Paese travolto dalla pandemia. Il sindaco della città teme una possibile nuova ondata di contagi, ma le misure adottate hanno finora scongiurato tale evenienza.
“Bolsonarovirus” fuori controllo.
Molto più esplosiva rimane la situazione in Brasile, dove il coronavirus dilaga favorito dal “bolsonarovirus”.
Il popolo brasiliano è in effetti minacciato da entrambi, e il secondo pare addirittura più pericoloso del primo, perché il presidente, Jair Messias Bolsonaro, antepone l’economia alla salute pubblica e ignora le misure atte ad arginare il contagio. Per sua criminale negligenza, dal 26 maggio il Brasile è divenuto l’epicentro del covid-19 in America Latina e il secondo Paese nel mondo. La crisi sanitaria, sociale ed economica che attanaglia il Paese viene attribuita anzitutto ai comportamenti irresponsabili di Bolsonaro. A metà giugno, il Brasile registra 867.882 casi, di cui 43.389 decessi e 388.492 guariti.
Raccogli ciò che pianti
Il teologo brasiliano Frei Betto punta il dito sulla politica: «“Nella vita raccogli ciò che pianti”. La drastica riduzione di fondi alla sanità come scelta per risanare il bilancio dello Stato ha portato alla demolizione del Sistema unitario di salute». Secondo il portale della Fondazione Osvaldo Cruz (Fiocruz), il Brasile ha perso 34.500 posti letto tra il 2009 e il 2020, che si sono ridotti da 460.900 a 426.300 tra la pandemia d’influenza suina (H1n1) e quella attuale, mentre le strutture private hanno aumentato i posti letto di 14.000 unità. Per questo motivo, la classe media e alta ricorre alla sanità privata, con l’effetto di aumentare ulteriormente le diseguaglianze nella società brasiliana.
Rischio genocidio
Dopo il primo caso, registrato il 13 marzo, Manaus, caotica e disperata capitale fluviale del vasto Stato di Amazonas, ha visto il tasso di mortalità giornaliera passare da 20 a più di 100. In poche settimane la situazione è diventata così drammatica da far temere lo sterminio dei popoli originari, che meno di altri sopravvivono al Sars-CoV-2.
Per le migliaia di decessi registrati, che esperti di salute pubblica suggeriscono di moltiplicare per 15, anche a São Paulo si è fatto ricorso alle fosse comuni. Straziante non poter neppure ricevere le spoglie dei propri cari: è possibile soltanto guardare da lontano le loro salme buttate come oggetti nella fossa comune.
La pandemia ha spazzato via i rituali di passaggio all’altra vita, carichi di significato soprattutto per i popoli indigeni.