Il 2020 volge al termine con il suo carico di dolore.
È stato un anno “anomalo”, rimasto a lungo ostaggio di un virus che ha fatto morire tanti e tante in solitudine e impedito a troppe famiglie di vivere il lutto; un virus che per la sua contagiosità impone ancora di non stringersi la mano, non donarsi un abbraccio, e sconsiglia di incontrarsi.
Il “Primo piano” fa emergere iniziative di aggregazione che, con creatività, prendono forma anche in questo tempo di isolamento, ma la pandemia continua a uccidere, sovvertire programmi e cancellare ricorrenze.
Fra queste, il 25° anniversario della IV Conferenza mondiale delle donne che si svolse a Pechino dal 4 al 15 settembre 1995: fu e rimane una svolta sociale e politica di immensa portata, non solo per loro. Lo scorso 4 set-tembre, a un quarto di secolo dalla Conferenza, l’agenzia Onu delle donne (UN Women) ha puntualizzato che gli impegni assunti all’unanimità dai 189 Paesi che sottoscrissero la storica Piattaforma d’Azione non sono stati realizzati, e in molte aree non sono neppure prossimi a realizzarsi. Il segretario generale dell’Onu, António Guter-res, ha addirittura riconosciuto che in questo tempo di pandemia, pervaso dall’assillante ricerca di risposte alle troppe incognite che attanagliano il mondo, la via maestra passa dal costruire società più eque, in-clusive e resilienti. E ciò richiede anzitutto di riconoscere appieno i diritti delle donne: «Viviamo ancora in un mondo dominato da una cultura patriarcale, e questo deve assolutamente cambiare».
Il 5 marzo scorso, in occasione della Giornata internazionale della donna, UN Women ha pubblicato la Rassegna dei diritti delle donne a 25 anni da Pechino. Vi si afferma che molto è stato fatto in ambito legale, educativo e di riduzione della mortalità per parto, ma persistono ritardi per la presenza femminile in ruoli decisionali e nell’accesso alla giustizia, alla proprietà e al credito. Quel rapporto, però, non tiene ancora conto degli effetti drammatici della pandemia sulla vita delle donne.
Il covid-19 ha esacerbato le diseguaglianze e talvolta annullato i progressi: oltre 47 milioni di donne e ragazze sono state relegate sotto la soglia di povertà e in numero crescente sono vittime di violenza. Il dossier offre una panoramica mondiale attraverso dati raccolti direttamente dalle donne in alcuni Paesi partico-larmente colpiti dalla pandemia. E non mancano risonanze dall’Italia, dove le donne hanno garantito un contributo eccellente nei servizi essenziali per arginare il covid-19, ma sono state maggiormente discriminate sia in casa che sul lavoro. Il 15 ottobre, il presidente della Repubblica, in occasione del Premio Marisa Bellisario, lamentava che solo il 48,8% delle donne ha un lavoro retribuito: «È paradossale che un Paese del G7 abbia una condizione di occupazione femminile inspiegabilmente e impresentabilmente così bassa rispetto agli altri Paesi avanzati». Sebbene negli ultimi 5 anni il Paese si sia impegnato a conseguire la parità di genere nell’istruzione di qualità, nella rappresentanza politica e nella conciliazione fra lavoro retribuito e lavoro in famiglia, l’Italia an-cora non riconosce né valorizza il contributo delle donne, soprattutto nel definire le priorità del Next Generation Eu.
Loro, comunque, parlano: «Siamo noi la cura!».
Il “Tempo della raccolta” – che un gruppo di donne della Bolivia ha indicato a Serena Noceti per il Sinodo Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale – forse tarda, ma verrà. E il Natale, che ogni anno fa splendere il ruolo salvifico di una ragazza della Galilea, ce lo ricorda anche in questo anno “anomalo”: siamo noi la cura.