Dal 2010 vivo in Sudafrica e sono impegnata principalmente in attività di prevenzione della Tratta, con l’obiettivo di rafforzare la consapevolezza e l’informazione su quello che papa Francesco ha definito un «crimine contro l’umanità».
Svolgo alcune ore di volontariato in una casa di accoglienza per vittime della Tratta e della violenza domestica, dove ho incontrato molte giovani, di ogni razza e provenienza, tutte con una storia triste da raccontare e difficile da dimenticare.
Realtà complessa
Il Sudafrica è Paese di origine e di transito delle vittime della Tratta, ma è anche luogo di destinazione per tante persone attratte da altri Paesi subsahariani nella nazione “d’oro e diamanti”, spesso con false promesse di lavoro. Soprattutto dalle zone rurali di Lesotho, Mozambico, Zimbabwe, Botswana e Malawi finiscono nei circuiti di sfruttamento sessuale, di schiavitù domestica, o nelle imprese agricole, industriali e minerarie.
Ci sono anche ragazze trafficate per matrimoni forzati. Molte delle vittime, spesso ancora giovanissime, arrivano a Johannesburg, Pretoria, Durban e Città del Capo anche dalle zone rurali del Sudafrica.
Le vittime sono spinte dalla mancanza di istruzione, dalla disoccupazione, e spesso dal desiderio di migliorare la propria situazione economica.
I social network, attraverso falsi profili Facebook, e contatti diretti via Whatsapp, sono utilizzati come mezzo di reclutamento. Annunci con attraenti offerte di lavoro e borse di studio sono il principale canale di ingaggio.
C’è chi si apposta anche fuori dalle scuole per adescare le potenziali vittime, ma la realtà più triste è che molte persone sono vendute da conoscenti, vicini di casa, amici, insegnanti, familiari, anche dai genitori.
Organizzazioni criminali internazionali fanno arrivare in Sudafrica persone anche da Thailandia, Cina e Nigeria, soprattutto per lo sfruttamento sessuale. La prostituzione in Sudafrica è illegale, ma molte vittime di Tratta devono esercitarla nei numerosi night club delle nostre città.
Il Global Slavery Index riporta che nel 2013 erano 47mila le persone in stato di schiavitù in Sudafrica, divenute 106mila nel 2014 e 248mila nel 2016.
La crescita esponenziale non è motivata esclusivamente da un aumento effettivo del fenomeno, ma anche dal fatto che lo si conosce di più, e nuove forme sociali e culturali di schiavitù vengono denunciate.
Informare per prevenire
L’attività informativa preventiva permette di vagliare bene un’offerta di lavoro che si presenta “troppo buona per essere vera”. Con questo obiettivo è stato costituito il gruppo Without Chains, di cui faccio parte.
Aderisce al Counter Trafficking in Person Desk della Conferenza episcopale sudafricana. È formato da nove volontari, per lo più giovani originari di diverse parrocchie, e opera in rete con altre organizzazioni, in particolare con il National Freedom Network...