C’è un paese ricco, dove le persone non valgono niente.
Siamo nel cuore dell’Africa, nel paese che nutre ogni giorno l’industria tecnologica nel mondo. Pieno di materie prime come diamanti, oro, stagno, gas, petrolio, uranio, coltan, foreste e acqua, il Congo raccoglie donne e uomini di molte tribù sotto il dominio dittatoriale di Kabila. Da oltre vent’anni il dittatore promette elezioni democratiche, risolte tutte ancora con un nulla di fatto.
In questo clima di caos interno, le ricchezze del Congo continuano a fare gola alle multinazionali europee, cinesi e americane, che finanziano i paesi confinanti – primo tra tutti il Ruanda - per attaccare da tutte le parti questo enorme scrigno del tesoro. Ma dal momento che la guerra sembra interna all’Africa, nessuno può accusare gli Stati Uniti e altre potenze occidentali di sfruttare le risorse e le ricchezze del Congo. È molto più conveniente lasciare che i paesi si ammazzino tra di loro, appoggiando le dittature che crescono nel Congo e la milizia ruandese e ugandese.
Le condizioni della guerra sono estreme: povertà sostenuta, condizioni pessime, stupri continui che hanno portato l’Aids al 20% circa della popolazione. Senza contare il virus dell’Ebola che continua a diffondersi.
In tutto questo caos, alimentato dalle potenze mondiali, c’è chi tenta di opporsi al regime e ai fatti. Il risultato, ad oggi, è sempre stato però lo stesso: chi si oppone, sparisce. I morti, in 20 anni di guerra, sono quasi sei milioni. La metà di loro, bambini. Molti ritrovati in fosse comuni, nascosti lontano, nel tentativo che questo genocidio passi sotto silenzio.
Ma l’Europa e il mondo sanno bene cosa sta succedendo e spesso ci chiediamo il perché non se ne parli.
Il silenzio uccide potente come il suono delle mitragliatrici.