In Guatemala come avete vissuto il passaggio della “carovana”?
Assistere al passaggio di tanti fratelli e sorelle migranti ci ha profondamente commosso. Ci ha fatto rivivere sentimenti di separazione, angoscia, dolore e illusione che noi proviamo in prima persona, perché in ogni famiglia del Guatemala c’è almeno un parente o una persona amica che, con i documenti regolari o senza, ha lasciato il Paese.
La carovana, letteralmente un fiume di persone di ogni età, ha attivato una solidarietà sentita e diffusa: famiglie, comunità e organizzazioni si sono mobilitate a soccorrere coloro che transitavano. Impressionante il numero di uomini, donne e anche bambini e bambine, che fornivano aiuto. Questa circostanza ha reso evidente che le vene dell’America Centrale sono ancora aperte: più che acqua e cibo, sono state donate solidarietà e speranza.
Il governo guatemalteco come ha reagito al blocco della frontiera decretato da Donald Trump?
Le decisioni del presidente degli Stati Uniti confermano ancora una volta le pressioni cui, da oltre un secolo, sono sottoposti i Paesi centroamericani. Jimmy Morales, attuale presidente del Guatemala, ha affermato che non cederà alle minacce di Trump, eppure, come richiesto dal governo Usa, nel potenziare le forze di sicurezza per contrastare il traffico della droga ha sacrificato, sull’altare della repressione, anche i diritti umani. Le forze dell’ordine, sia civili sia militari, agiscono con violenza non soltanto contro le bande criminali ma anche contro la legittima protesta dei popoli indigeni, che da decenni sono privati della propria terra dalle compagnie transnazionali.
Per il 2019 il governo del Guatemala ha ridotto i fondi destinati alla Procura dei diritti umani e ha aumentato quelli destinati a chi, in realtà, protegge gli interessi e i profitti delle compagnie.
Nell’ultimo decennio, quali cambiamenti sono avvenuti in Centro America?
L’economia neoliberista che gli Stati Uniti d’America hanno promosso nel continente ha determinato in tutta l’America Latina, ma soprattutto in Centro America, un clima di spoliazione. La povertà si è acuita. Coloro che protestano contro lo sfruttamento vengono schiacciati con la violenza o perseguiti penalmente. Eppure sono anzitutto loro a veder violati i propri diritti, tanto individuali come collettivi.
Per il dilagare di questi conflitti sociali, il Guatemala e altri Paesi centroamericani appaiono come società ingovernabili. Nonostante le massicce deportazioni già operate dal governo di Barack Obama e moltiplicate, con piglio razzista, dall’attuale presidente Usa, i nostri fratelli e sorelle dei Paesi centroamericani più impoveriti sognano ancora di emigrare negli Stati Uniti. La corruzione e l’impunità nelle istituzioni statali hanno contribuito ad aggravare la disoccupazione e lo sfruttamento lavorativo. La svalutazione della moneta galoppa e il potere d’acquisto dei salari crolla. Molte persone soffrono la fame. Ma la popolazione guatemalteca, in questi anni, è diventata più attiva nel perseguire un cambiamento strutturale, che dia un respiro di speranza al Paese.
E dal Forum mondiale sulle migrazioni che cos’è emerso?
A me è sembrato molto interessante l’appello alla “politica dalla resistenza”, che in Guatemala e altri Paesi viene però criminalizzata. L’ultimo rapporto dell’Unione per la protezione di chi difende i diritti umani in Guatemala (Udefegua), dal 2012 al 2017 ha registrato 909 capi di imputazione a carico di chi ha difeso i diritti del popolo Maya.
Per me è importante denunciare queste ingiustizie e approfondire e comprendere meglio la nostra storia. L’indipendenza dalla Spagna, ottenuta dai creoli nel 1821, non ha abolito il sistema feudale imposto dalla colonizzazione. La riforma liberale del 1871 ha sviluppato un capitalismo violento, sostenuto da governi militari e dittatoriali.