I passi della Settimana Santa
Vivere in Israele, alle pendici del Monte degli Ulivi, permette di alzare lo sguardo su una realtà incredibilmente evocativa. A piedi si raggiunge in breve tempo Betfage, il villaggio dal quale Gesù è partito a dorso d’asino per entrare in Gerusalemme, in quella che, nel calendario cristiano, è diventata la Domenica delle Palme. Poco più su, si guadagna la cima del monte dal quale lui sarebbe asceso al Cielo: la piccola edicola è oggi custodita dai musulmani. Lì accanto, il santuario del Padre nostro e, poco più sotto, la chiesa del Dominus flevit, dove Gesù pianse sul destino della città. Poi si scende al giardino e alla chiesa del Getsemani, l’Orto degli ulivi.
Ogni bivio, ogni pietra sono densi di significato: invitano alla riflessione e alla preghiera. Entrando nella città vecchia si incontrano altre mete che parlano all’anima, fino al Santo Sepolcro, il cuore della cristianità. Visitare quei luoghi, con calma e raccoglimento, regala serenità e pace interiore. Farlo assieme alle sorelle comboniane ancora di più, perché loro là sono di casa.
A casa, oltre il muro
“Casa” è la parola giusta per descrivere l’atmosfera accogliente che si respira fra le missionarie comboniane a Betania, dove Gesù ha sperimentato sentimenti straordinariamente umani: l’amicizia e il dolore per la perdita di un amico. Esservi ospiti vuol dire sentirsi come in famiglia. Letteralmente. E permette anche di scoprire un’altra Terra Santa, a volte densa di conflitti e di incoerenza, ma altrettanto – e, forse, più – ricca di umanità e di spiritualità.
Il cammino inizia dall’incombente muro che affianca il convento. Barriera che i bambini e le bambine dell’asilo gestito dalle suore (ormai frequentato solo da palestinesi le cui famiglie, il destino o la fortuna hanno posto dalla parte «giusta») hanno decorato con i loro disegni: mentre vi giocano accanto, riflette le voci. Attorno a quell’alto serpente di cemento e metallo, eretto per dividere lo Stato di Israele dai Territori occupati della Cisgiordania, la violenza è sempre in agguato. Esplode, talvolta, con il lancio di pietre e bottiglie molotov, al quale i soldati israeliani non esitano a rispondere con le armi. Nel mezzo, le missionarie, ambasciatrici di pace e testimoni di una convivenza possibile. Le sorelle il muro lo valicano spesso, superando con pazienza l’ostacolo dei controlli. Due di loro abitano addirittura dall’altra parte. Per essere con i palestinesi che popolano quella fetta di mondo.
Nel Deserto di Giuda
Fra i più emarginati ci sono i beduini del Deserto di Giuda. Privati a forza della loro anima nomade, vivono in insediamenti sperduti, con strade “precarie” (è un eufemismo!) e il minimo indispensabile per non soccombere. A farne le spese – come spesso accade –, soprattutto i bambini e le bambine. E su di loro si è concentrata l’attenzione delle comboniane, che, favorendo nel contempo anche la promozione del ruolo delle donne formate come insegnanti, hanno fondato sette asili. Un’esperienza positiva e apprezzata, che ha permesso di migliorare la qualità del percorso scolastico successivo.
Dagli asili sono scaturiti momenti di formazione su vari argomenti sensibili, campi estivi e piccole escursioni che favoriscono la conoscenza fra bambini palestinesi e israeliani. Le difficoltà logistiche e gestionali, provocate dalla burocrazia statale, chiedono di seguire regolarmente l’attività delle scuole. Così le suore sono diventate presenze costanti e apprezzate nelle comunità beduine, che le accolgono con riconoscenza, anche per l’aiuto concreto che offrono alle famiglie più bisognose. Sono proprio queste ultime a dare un incredibile esempio di generosità, condividendo con chi le visita il poco o nulla che hanno.
Con la forza di risorgere
La missione di accogliere i gruppi che approdano dal mondo intero a Betania, ospitarli con fraternità e aiutarli a cogliere le profonde peculiarità della Terra Santa, si intreccia con altre “missioni”, come collaborare con un team di medici israeliani che offrono cure gratuite alla popolazione palestinese o gestire “Kuchinate”, un centro diurno per donne migranti. Queste sono in prevalenza africane e segnate da storie drammatiche. Nella difficoltà di inserirsi in un mondo tanto diverso dal loro, “Kuchinate” è per tutte un porto sicuro e per molte anche una fonte di sostentamento: agli amichevoli incontri delle donne, spesso ravvivati dalla presenza di figli e figlie piccole, si affianca la produzione e la vendita di vari oggetti lavorati all’uncinetto; un’attività di successo e in costante evoluzione.
Ma, al di là dei benefici economici, “Kuchinate” resta soprattutto un luogo di ristoro per il cuore e per lo spirito. Perché è questa, in fondo, pensandoci bene, la prima missione che anima le comboniane: tendere la mano a coloro che incontrano sul cammino, condividendo la propria, serena e straordinaria, forza interiore.
E questo è celebrare Pasqua, tutti i giorni.