Il Signore ha piantato in me il seme della vocazione missionaria comboniana quando era piccola. Ricordo spesso e con simpatia un Natale; avevo quattro o cinque anni e papà, con un vecchio mangianastri, invitava mio fratello e me a registrare un messaggio di auguri e i canti natalizi imparati alla scuola materna per lo zio Guerrino, missionario comboniano nella Repubblica Centrafricana. La cassetta gli sarebbe arrivata con grande ritardo, ma gli avrebbe fatto comunque tanto piacere.
È questo il mio primo contatto con la missione: un posto lontano, non facilmente raggiungibile, da cui si torna ogni tre o quattro anni. Quando veniva a casa in vacanza, lo zio Guerrino ci raccontava di celebrazioni cantate e danzate per ore, di bambini allegri che correvano scalzi ovunque e di tante avventure nella foresta equatoriale. Almeno questo è ciò che comprendevo allora, quando lo zio invitava mio fratello e me a prendere in considerazione il dono della nostra vita per l’Africa, come aveva fatto Comboni; ma eravamo ancora troppo giovani.
Il tempo passa e gli studi occupano le mie giornate; dopo il diploma e l’università il seme era lì, ma non riusciva a germogliare. Finalmente, nel 2002, a 26 anni, dopo un’esperienza poco piacevole di lavoro, mentre cerco un nuovo impiego emerge la domanda: che senso ha la vita? A chi la voglio dedicare?
Torno a sentire il richiamo alla “missione”, ancora indefinito e ideale: a cosa sarei andata incontro? Il seme, però, inizia a germogliare e la piantina cresce e cerca luce. Ascoltando la voce dentro di me, decido di dare una svolta netta alla mia vita: contatto i Missionari comboniani, quelli di zio Guerrino, e vengo indirizzata al cammino Gim (Giovani Impegno Missionario) di Venegono (VA). Là incontro Bruna Barollo, la prima suora missionaria comboniana di cui io abbia ricordo cosciente.
Penso sia stata proprio lei a farmi desiderare di essere Suora missionaria comboniana: accogliente e allegra, discreta ma capace di incoraggiare, mi ha saputo voler bene. Osservandola ho iniziato a capire cosa fosse la vita consacrata. Così nel 2004 inizio la formazione a Granada, in Spagna, e dalla piantina spuntano i primi rami. La tappa del noviziato la vivo a Quito, in Ecuador, accompagnata da suor Pompea Cornacchia, che mi introduce alla vita della nostra congregazione, a Daniele Comboni e altri aspetti teorici, ma mi mostra anzitutto come viverli. Ho approfondito la relazione con Cristo, con me stessa e con le altre persone, prendendo sul serio il dono della mia vita e della vocazione.
Suora missionaria comboniana dal 2008, dopo un breve periodo in Gran Bretagna per apprendere l’inglese ho raggiunto il Sud Sudan nel 2009. Nella comunità tra il popolo nuer, da Agata Cantone, Adriana Tovar e Lorena Morales Fallas ho imparato ad avere fiducia nelle persone di quel luogo, a vivere e camminare al loro ritmo.
Nel dicembre 2013 in Sud Sudan scoppia uno scontro violentissimo; le consorelle, che prima del 2005 avevano vissuto la guerra civile, mi raccontano le loro esperienze e accennano alla possibilità di passare un periodo anche lungo nascoste lontano dalla missione. Quando la violenza ha raggiunto Leer siamo fuggite in auto, ma ci hanno sparato addosso e per settimane abbiamo trovato scampo nella boscaglia. Là ho capito che Dio mi chiedeva di avere pazienza e di confidare in lui; ho imparato a chiedere con umiltà alle persone che prima erano solite chiedere a me, e la loro generosità ci ha aiutato in tutto.
La provvidenza di Dio si presenta sempre al momento giusto. Poi è arrivato un elicottero che ci ha portate sane e salve a Juba: «Bentornata! – mi hanno detto le sorelle di quella comunità – Il Signore ti ha salvato la vita perché hai ancora una missione da portare avanti».
Dal 2015 al 2020 sono rimasta per un servizio nella Provincia italiana e adesso mi trovo a Roma. Non sono certa che la mia pianta abbia portato frutto, spero almeno di non aver dato troppi cattivi esempi. Colgo però una sfida grande nell’oggi della nostra congregazione: abbiamo bisogno di tante potature per far crescere nuovi rami.
Per questo chiedo l’intercessione di tutte le comboniane che ci hanno preceduto e che celebrano in cielo il 150° dell’Istituto.