Leiria è una città del Portogallo situata nella zona costiera al centro del Paese.
Su una popolazione di circa 130.000 abitanti, ne conta qualche migliaia di nazionalità ucraina.
A fine marzo, in una comunità delle Suore missionarie comboniane a Verona, da Leiria arriva una lettera. La firma il sindaco Gonçalo Lopes, che ringrazia per l’ospitalità che la comunità ha dato a una trentina di persone ucraine, in prevalenza donne con figli e figlie, in fuga dalla distruzione del loro Paese. Semplicemente: cena, pernottamento e colazione per loro e gli autisti portoghesi.
Ma un passaggio della lettera fa riflettere: «Nella nostra regione vivono tremila persone immigrate dall’Ucraina che, nel corso degli anni, hanno grandemente contribuito al nostro sviluppo.
Confrontati dall’immane sofferenza che le loro famiglie stanno vivendo a causa dell’aggressione subita dal loro Paese, abbiamo assunto la responsabilità di offrire loro il trasporto di familiari e conoscenti che sono sfollati nei Paesi dell’Ue confinanti con l’Ucraina».
Anche Edith Bruck, scrittrice ebrea di origine ungherese sopravvissuta allo sterminio nazista di Auschwitz, da decenni risiede a Roma e nella sua anzianità di novantenne vive con una signora ucraina che la assiste: «Io piango con lei», dice con spontaneità in un’intervista a Radio1 il 7 aprile.
Quante famiglie italiane potrebbero dire altrettanto? E non soltanto per donne ucraine, ma anche filippine e di altre nazionalità, che da anni, forse decenni, si prendono cura della casa e di persone anziane o diversamente abili? E quanti distretti agricoli e industriali si sono sviluppati grazie al lavoro immigrato?
Sì, «hanno grandemente contribuito» a migliorare la nostra qualità di vita, ma facciamo fatica ad ammetterlo.
Il grazie di Gonçalo Lopes alla comunità di suore diventa un grazie nostro a lui, per aver rivelato con tanta naturalezza questa verità, che nutre la solidarietà e mette in circolo tanta energia positiva, per il presente e per il futuro.