L’inferno scatenato in Europa dal presidente della Federazione russa, Vladimir Putin, lacera anche la Pasqua.
C’è troppa morte, troppa violenza inflitta con crudeltà inaudita, per poter vivere la gioia che emana nella celebrazione della notte in cui il buio diventa luce e la morte non ha l'ultima parola.
Oppure, proprio la brutalità efferata, che ferisce anche questi giorni considerati “sacri” da tanti popoli europei, diventa momento di “conversione”?
Il 5 aprile scorso ricorrevano 30 anni dall’inizio dell’assedio che riduceva Sarajevo a una città fantasma: la “Gerusalemme d’Europa”, in cui convivevano e ancora convivono cattolici, ortodossi e musulmani, fu teatro di stupri, torture, uccisioni e deportazioni. Le stesse efferatezze che stanno vivendo alcune città ucraine e in particolare la “città santuario” di Mariupol.
A Sarajevo le ferite sono ancora aperte e la riconciliazione fatica a progredire, ma l’infanzia che ha subito per anni quella tragica devastazione, nel raccontarla offre un’altra prospettiva possibile. Rivivere la sofferenza può aiutare a lasciare un peso paralizzante e a iniziare una sorta di guarigione della memoria.
«Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello – canta la liturgia di Pasqua –. Il Signore della vita era morto, ma ora, vivo, trionfa». Chi attraversa la violenza può non rimanerne per sempre vittima.
C’è un’umanità che conferma queste parole nella propria esistenza.
Buona Pasqua!