Con la tua famiglia eri a Teheran per una breve vacanza.
Venivi da Saqqez, nel Kurdistan iraniano, dove la cultura locale garantisce ancora alle donne qualche spazio di libertà.
Ignara che a Teheran quella tua ciocca di capelli sfiorati dal sole fosse un abominio, hai pagato a caro prezzo la tua spontaneità giovanile.
Cara Mahsa, la brutalità della “polizia morale” ti ha uccisa a 22 anni, ma per te dal 16 settembre un intero popolo scende in strada; si ribella. Iniziano le tue coetanee ventenni, ma non rimangono sole: anche gli uomini le affiancano.
Dopo 12 giorni, le vittime accertate sono 41; tra loro la ventenne Hadith Najafi, bersaglio di 6 proiettili a Karaj, …e le molte altre. Migliaia sono in prigione, ma la protesta della generazione “giovane” non si ferma. Non ha paura, neppure della morte: è la forza trainante di una trasformazione che la ferocia del regime di Khamenei non può bloccare.
Il coraggio della protesta, però, non inizia adesso. Shirin Ebadi, nel 1969 prima donna giudice, viene minacciata e arrestata con l’ascesa di Khomeini; attualmente vive in esilio ma non tace. Il 2 dicembre 2020 l’avvocata Nasrin Sotoudeh è condannata a 33 anni di carcere e 148 frustate per aver difeso una donna che aveva pubblicamente contestato l’obbligo di indossare il velo.
Nel vicino Afghanistan, a un anno dal ritorno dei Talebani, le donne rese invisibili dalla legge islamica continuano sfidare le percosse e a protestare.
Care amiche, alla fine voi e i vostri popoli vivrete la gioia della libertà.
Il futuro è già vostro... e di molte altre!