Il 16 novembre, la Giornata mondiale della biodiversità è stata celebrata anche alla Cop27, la 27° Conferenza delle parti sul cambiamento climatico.
La passerella delle personalità influenti è stata aperta da John Kerry, negoziatore Usa. Simon Stiell, segretario esecutivo dell’Unfccc, l’organismo Onu che tratta dei cambiamenti climatici, ha continuato, seguito dalla ministra egiziana dell’Ambiente.
Con grande oratoria hanno sottolineato il nesso tra cambiamento climatico e perdita di biodiversità: però, come al solito, manca il coraggio di passare dalle parole all’azione.
Oltre alla drammatica scomparsa di tante specie, ritenute a torto irrilevanti da molti esseri umani, si profila anche la scomparsa della specie homo sapiens; eppure l’inazione prevale.
Per arginare la pandemia si è fatto tanto e subito. Perché non si riesce a fare altrettanto per contrastare il disastro climatico?
Perché continuano i sussidi ai combustibili fossili?
Perché si pensa a nuove tecnologie per “sequestrare l’anidride carbonica” anziché ridurne drasticamente le emissioni?
Quali interessi della finanza stanno condizionando i progressi dei negoziati?
Il 17 novembre la società civile ha sollecitato decisioni importanti su “danni e perdite” da compensare e molti altri temi che sembrano arenati: ha fatto sentire con forza la propria voce in una sala immensa e gremita all'inverosimile.
Fuori c’è già chi tira i remi in barca: le Cop sono eventi costosi e inutili!
Ma c’è anche chi non soccombe allo scoraggiamento: sono i popoli indigeni, le donne, i e le giovani che animano Cop27.
Altro che depressione o ansia! A Sharm el Sheik non raggiungono il numero della Cop26 di Glasgow, perché il luogo è costoso e poco raggiungibile; ma chi è presente ha le idee chiare e una grande determinazione.
Se i leader politici tradiranno ancora una volta le aspettative, loro alimentano la speranza: un bel modo di celebrare quella biodiversità... che loro stessi e loro stesse incarnano.