Un giudizio espresso mercoledì 12 settembre, senza riserve, dall’Europarlamento: 448 voti contro il governo ungherese e il suo leader, che dal 2010 sta minando nel suo Paese lo stato di diritto e il rispetto delle libertà fondamentali salvaguardate dall’articolo 7 del Trattato dell’Unione Europea.
Per la posizione dominante del Partito Popolare Europeo (Ppe), cui Orban appartiene, il voto era tutt’altro che scontato.
L’esponente dei Verdi olandesi, Judith Sargentini, ha denunciato con chiarezza il “grave rischio" di violazione dei principi europei che l’Ungheria sta correndo, e i due terzi del parlamento, inclusi molti esponenti del Ppe, hanno votato per avviare la procedura contro l’esecutivo di Viktor Orban in relazione a: detenzione obbligatoria di tutti i richiedenti asilo, compresi i minori, modifica della Costituzione che mina l’indipendenza della magistratura, leggi che riducono il diritto di sciopero, frenano l’operato delle ong e limitano la libertà accademica e quella dei media.
«Il parlamento europeo si è giustamente schierato dalla parte del popolo ungherese e dell’Unione Europea, dicendo in modo chiaro che i diritti umani, lo stato di diritto e i valori democratici non sono negoziabili». Lo ha affermato Berber Biala-Hettinga, esperta di Amnesty International sui diritti umani nell’Unione europea: dallo scorso aprile in Ungheria le violazioni dei diritti e delle libertà si sono moltiplicate in modo davvero preoccupante.
Ora la procedura passa all’esame del Consiglio Europeo, ma il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, che con il leader ungherese condivide molte posizioni, incluso il controllo dell’autorità giudiziaria, ha già proclamato che la bloccherà.
Caro Salvini, amico di Viktor Orban, noi speriamo vivamente che l’Italia non si trovi presto nella situazione dell’Ungheria.
Meglio concludere con una nota più leggera e positiva: il concorso “Idee Migranti” di Oikos. È rivolto a chi, immigrato e immigrata in Italia, intende avviare un’impresa a vocazione sociale che possa generare un impatto sociale e ambientale positivo sul territorio italiano.
Perché, nel lungo termine, le contrapposizioni violente non portano frutto. Meglio una sana e costruttiva integrazione di persone e culture.
(foto da www.amnesty.it)