Le notizie si susseguono contraddittorie su una donna colpevole di appartenere alla minoranza religiosa di un Paese islamico: il Pakistan.
Notizie e contro-notizie si susseguono da giorni sulla sorte di Asia Bibi: condannata a morte nel 2010 con l’accusa di aver offeso il profeta Maometto, è stata assolta il 31 ottobre 2018 dalla Corte Suprema. Un verdetto storico in un Paese dove l’estremismo islamico, intriso di rabbia contro l’invasione “occidentale” dell’Afghanistan, è ancora rampante.
Ma in realtà non è una questione religiosa, perché Saiful Malook, l’avvocato che ha difeso Asia, è musulmano: pochi giorni dopo l'assoluzione, minacciato di morte, ha dovuto lasciare il proprio Paese.
In Pakistan «dal 2007 al 2016, secondo l’ong di Lahore “Centro per la giustizia sociale”, 1.472 persone sono state incriminate per blasfemia: 730 musulmani, 501 ahmadi (una minoranza musulmana considerata eretica), 205 cristiani e 26 induisti», si legge sul sito di Amnesty International.
Pertanto non è una questione religiosa. È piuttosto una questione di ignoranza e chiusura mentale, entrambe facilmente strumentalizzate da una politica che addita nelle minoranze la minaccia alla “purezza” della nazione, sia essa il Pakistan o… l’Italia!
Con tanti e tante altre, fra cui uomini e donne di fede islamica, continueremo a difendere Asia Bibi e la sua libertà, perché l’intolleranza è nefasta. Sempre. La medicina migliore per curarla è riconoscere che le differenze non sono una minaccia: possono piuttosto costituire una grande risorsa, se vissute nel rispetto reciproco.
Per questo Combonifem ha dedicato l’ultimo dossier al confronto fra religioni diverse che convivono in Italia.
È un percorso in cui ogni religione, dalla prospettiva femminile, parla di sé.
Per liberarci da insane paure, viviamolo insieme!