Paolo Ricca, professore emerito della Facoltà, introducendo le relatrici Cettina Militello e Letizia Tomassone ha ribadito che Maria Vingiani ha fatto per l’ecumenismo in Italia, e potenzialmente anche in Europa, più di chiunque altro, teologi e papi compresi, perché aveva compreso quale cambiamento profondo esige il dedicarsi alla causa ecumenica. Il movimento ecumenico – ha proseguito – è stato finora governato da uomini, così come le Chiese; il Sae fa eccezione: anche se Maria Vingiani non ha connotato femminilmente la sua indubbia leadership, resta una donna che ha identificato la sua esistenza con la promozione del movimento ecumenico in Italia.
Dai margini al centro…
«Le donne sono Chiesa e lo sono sempre state», ha esordito Letizia Tomassone, docente di Studi femministi e di genere alla Facoltà valdese, «e Maria Vingiani è una testimonianza di come questo sia vero, sia stato vero prima del Concilio, durante e dopo, con la grande valorizzazione del laicato nell’elaborazione teologica fatta nel lungo percorso del Sae». La grande forza d’animo di «quella piccola ma combattiva donna, decisa a scardinare secoli di incrostazioni teologiche e culturali», come la definisce Gadi Luzzatto Voghera riconoscendole un ruolo fondamentale nell’avvio di una nuova stagione di incontro e di dialogo tra ebraismo e cristianesimo, è rappresentativa di una modalità dell’essere donne nella Chiesa: presenti e capaci di far spazio alla sorpresa che è l’altro, l’altra.
Donne protagoniste nella Chiesa dei primi secoli, poi sottoposte a processi di invisibilizzazione e demonizzazione: la donna che ardisce prendere la parola, difendere i suoi punti di vista – e spesso lo fa per aprire spazi ad altri – viene vissuta come un inciampo, una presenza scomoda. Donne che hanno lottato in favore di altri e poi hanno dovuto difendere la propria soggettualità, come Argula von Grumbach, che per difendere un giovane seminarista diventato luterano si trova poi schiacciata dalla violenza domestica e arriva a dire: «Nel mio corpo viene oltraggiato Cristo». Donne che, lavorando con piena fedeltà all’evangelo per l’allargamento dei confini e della visione della Chiesa, hanno accettato l’umiltà e l’invisibilità di una posizione di secondo piano, quella che Mary Daly chiama il “retroscena”, che deve essere reso visibile: è dal margine che può venire una nuova configurazione della Chiesa, e della società. Non solo le donne hanno ritagliato uno spazio per sé, «per non essere allo stretto nella Chiesa», come scrive Anne-Marie Pelletier: esse hanno anche allargato lo spazio di Dio. Certo, si vanno a toccare posizioni di potere detenute dagli uomini, e questo scuote la Chiesa dalle fondamenta, così come scuote la società occidentale.
Laica per una Chiesa laica
Cettina Militello, docente di Ecclesiologia, Liturgia e Mariologia in diverse facoltà pontificie, ha raccontato come la causa ecumenica e la questione femminile siano state per lei centrali fin dagli anni della formazione, e come probabilmente questo sia stato il motivo per cui Maria Vingiani l’ha invitata a far parte del Gruppo teologico del Sae, con la partecipazione negli anni 1985-87 al Seminario teologico su “La donna nella Chiesa”, documentato nel fascicolo di Vita Monastica di gennaio-giugno 1988. Nelle premesse introduttive ai contributi si afferma che le Chiese cristiane che non riconoscono nei fatti piena parità tra la donna e l’uomo perdono credibilità nell’annunciare al mondo quell’eguaglianza che è nel disegno di Dio. E sul piano operativo si chiede la valorizzazione della donna nello studio e nell’insegnamento della teologia, la sua partecipazione a istanze decisionali nelle Chiese e lo studio da parte di tutte le Chiese del tema dell’ordinazione delle donne.
Maria era animata da un sano spirito laicale e aveva creato un’associazione “laica” nel senso pieno del termine, priva della rassicurante figura dell’assistente ecclesiastico, aspettando e sperando per la nostra Chiesa un tempo non più segnato da ipoteche gerarchiche sacrali e clericali. Ha poi avuto il coraggio di passare il testimone, perché amare un progetto vuol dire anche affidarlo a energie nuove.
Donna della Parola
Introducendo la testimonianza di Valdo Bertalot, già segretario generale della Società Biblica in Italia, dal titolo: Maria Vingiani, Bibbia e voce di lei nel cammino ecumenico, il presidente del Sae Piero Stefani ha ricordato che le Scritture cristiane nascono già all’insegna della traduzione, e conoscono poi una lunga vicenda di traduzioni; Maria Vingiani, donna laica, ha portato in seno alla Chiesa, alle Chiese, l’istanza di un ritorno alla Bibbia e di una sua traduzione interconfessionale.
Bertalot ha letto la vicenda di Maria Vingiani con la chiave dei cerchi concentrici e della sincronicità. Sono gli anni in cui la commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio ecumenico delle Chiese promuove la centralità della Bibbia nella vita delle Chiese; nel 1956 il patriarca di Venezia Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, promulga una lettera pastorale in cui invita tutti e tutte, clero e laici, a leggere la Bibbia: il gruppo ecumenico “clandestino” che Maria Vingiani aveva raccolto attorno a sé da socio-politico si trasforma in biblico.
Il radicamento nella Parola, ebraica e cristiana, sarà l’asse portante di tutte le sessioni di formazione del Sae. Tra il 1968 e il 1973, gli anni delle sessioni Sae a Camaldoli e a Napoli, si moltiplicano gli appelli di Maria Vingiani a promuovere la traduzione italiana interconfessionale della Bibbia. Nel 1983 si costituisce legalmente la Società Biblica in Italia. Nel 1985 viene pubblicata la Tilc (Traduzione interconfessionale in lingua corrente), frutto del lavoro di 130 traduttori, revisori ed esperti, donne e uomini, ministri e laici. Ne sono state diffuse finora 13 milioni di copie. A partire dal 2000 la Cei è l’unica Conferenza episcopale a rendere disponibile sul proprio sito, accanto alla propria traduzione ufficiale della Bibbia, la Tilc, versione che è anche, a pieno titolo, il primo documento ecumenico del Sae.