L’esodo però era già in corso dall’intero 2021: secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, tra gennaio e agosto sono 400.000 i civili che in Afghanistan hanno lasciato le loro case; e nel mondo si contano 2,6 milioni di rifugiati afghani, di cui l’85% in Pakistan e in Iran. Si tratta per la gran parte di donne e bambini, particolarmente a rischio in quel territorio martoriato.
In queste pagine abbiamo scritto delle condizioni ineguali che le donne affrontano anche nel nostro Paese, spesso sulla base di discriminazioni indirette nel lavoro e nella cura, ma quello che subiscono in Afghanistan è di tutt’altra portata: in meno di un mese, le scuole e le università sono state vietate alle ragazze, così come a molte donne è stato impedito di recarsi al lavoro.
Corridoi umanitari
In agosto, in prossimità della chiusura dei ponti aerei, si è invocata da più parti l’attivazione di corridoi umanitari dall’Afghanistan. Si tratta però di una richiesta formulata impropriamente: un corridoio umanitario non è attivabile dal Paese di origine della persona che fugge. Nessun governo permetterebbe la partenza di propri cittadini che sostanzialmente si autodichiarano aspiranti richiedenti asilo in un altro Paese. Di conseguenza, se e quando saranno attivabili dei corridoi umanitari per uomini, donne e bambini afghani, ciò avverrà da Paesi diversi dall’Afghanistan.
Non solo donne
Un’altra proposta, ribadita con insistenza in quei concitati giorni, era quella di attivare corridoi umanitari per le donne afghane. Una tale proposta, per quanto origini da nobili intenzioni (proteggere un gruppo estremamente vulnerabile sotto il dominio talebano), parte da un assunto riduttivo, secondo il quale “in Occidente” viviamo perlopiù in famiglie, mentre “le donne afghane” vivrebbero in un mondo atomizzato come individui isolati, senza un nucleo di relazioni fondamentali. Anche le donne afghane vivono all’interno di famiglie, e auspicare esclusivamente la loro partenza è un’idea avulsa dalla realtà.
Visti di ingresso preziosi…
I corridoi umanitari sono, in generale, un’iniziativa encomiabile, che ha migliorato in modo sostanziale la vita di coloro che ne beneficiano. Consistono nella selezione di persone particolarmente vulnerabili che già vivono in un Paese diverso dal proprio (ad oggi, arrivano soprattutto dal Libano e dall’Etiopia) e che sono bisognose di protezione. Con il rilascio di un visto per motivi umanitari, la persona ha la possibilità di arrivare in modo sicuro in Europa (al momento i corridoi sono attivi in Italia e pochi altri Paesi europei) e, una volta arrivata, di fare domanda di asilo e ricevere accoglienza e supporto.
… ma del tutto insufficienti
I corridoi umanitari sono sostanzialmente gestiti da enti di natura ecclesiale. Sono riconosciuti dallo Stato, che provvede al rilascio dello specifico visto, ma in termini numerici sono puramente dimostrativi. Dal dossier della Comunità di Sant’Egidio si evince che tra il 2016 e il 2019 sono state poco più di 3.000 le persone arrivate in Europa in questo modo. Per dare un’idea dell’esiguità di questa soluzione si pensi al fatto che solamente nei ponti aerei dall’Afghanistan all’Italia sono transitate circa 5.000 persone in 15 giorni.
I flussi migratori oggi hanno tutt’altra portata e quindi l’esistenza dei corridoi umanitari non è di per sé in grado di fermare le morti in mare, i respingimenti alla frontiera e tutte le altre conseguenze nefaste della chiusura dei confini europei.
Che cosa ha fatto L’UE PER LORO?
Al di là delle azioni militari, che qui non commentiamo, come l’Unione Europea ha protetto coloro che, lasciando l’Afghanistan, bussano da anni alle sue porte? La questione non si pone da oggi: quel Paese non è un luogo sicuro già da diversi decenni.
Su questo ci viene in aiuto Matteo Villa dell’Ispi: ha calcolato che, dal 2008 a oggi, i Paesi europei hanno valutato 600.000 richieste d’asilo da parte di persone afghane e ne hanno rifiutate 290.000, rimpatriando oltre 70.000 richiedenti, di cui 15-20.000 donne. Per una volta l’Italia costituisce un’eccezione positiva (grafico), ma la situazione è quella di un generale non riconoscimento della drammaticità della situazione in Afghanistan, soprattutto di quella delle donne.
La questione passaporto
Secondo la classifica dei passaporti mondiali quello afghano è il meno “potente” al mondo: permette di recarsi senza visto solamente in 32 Paesi del mondo, mentre per gli altri il visto deve essere richiesto prima della partenza. Per fare un raffronto molto concreto che illustri la dimensione del problema, si pensi al passaporto italiano, terzo in classifica tra i più “potenti” al mondo: permette di visitare ben 144 Paesi senza richiesta di visto.