Da decenni noi Comboniane coltiviamo relazioni di amicizia con persone palestinesi e israeliane, e da entrambe siamo accolte.
Adesso, però, tutti e tutte viviamo nella paura ed è cresciuta la diffidenza verso chi è dell’altro popolo. Subito dopo il 7 ottobre sono aumentati i controlli da parte dell’esercito e della polizia israelian, che hanno impedito alle persone di spostarsi per andare al lavoro, all’ospedale o anche semplicemente a fare la spesa.
La relazione tra Palestinesi e Israeliani che vivono negli insediamenti è ulteriormente peggiorata, con gravi abusi da parte dei coloni, soprattutto durante la raccolta delle olive, tradizione molto importante e sacra in tutta la Palestina.
Effetti più gravi su chi vive ai margini
Se la vita della popolazione palestinese è peggiorata, quella della popolazione beduina è diventata drammatica, perché loro vivono vicino agli insediamenti israeliani e spesso lavorano lì o nella città industriale presso Maale Adumin. Molti dei nostri amici beduini non lavorano da oltre un mese.
Uno di loro ci ha detto che avevano richiamato suo figlio, ma dopo tre giorni lui stesso ha deciso di licenziarsi perché un soldato gli puntava addosso il fucile per tutto il tempo: chi può lavorare con un un tale stress?
Da oltre un mese le scuole beduine sono chiuse perché questioni di sicurezza impediscono alle maestre e ai maestri che vengono da altre città della Palestina di raggiungerle. Soltanto i nostri cinque asili, operativi dal 2008, continuano a essere aperti grazie alle maestre beduine che vivono sul posto. Un bambino ogni mattina chiede alla mamma: «Oggi c’è la guerra o c’è l’asilo?».
Se lei risponde che c’è l’asilo, lui si alza in fretta con gioia per andare all’asilo accompagnato dalla mamma.
Tra due amori...
Anche la scorsa settimana siamo andate a pregare con famiglie che appartengono a una delle comunità di Ebrei messianici che svolgono servizio volontario nei villaggi beduini. Loro, Ebrei, sono preoccupati per i beduini loro amici ma allo stesso tempo non si sentono più di andare a trovarli perché hanno paura. Pregano che cessi la guerra, ma i loro figli e figlie, essendo israeliani, adesso sono costretti a combattere. Così hanno il cuore diviso dall’amore per i due popoli, quello israeliano e quello palestinese. In questo momento sentono che possono soltanto pregare e invocare il dono della pace e della giustizia.
Siamo in tanti e tante a invocare la pace nella giustizia, e a chiederla a Dio. Tutti i ponti di amicizia che tante persone e movimenti hanno costruito da anni non possono essere completamente distrutti da questa guerra.
Sappiamo che non sarà facile ritrovare la fiducia necessaria a incontrarsi di nuovo e condividere, ma sappiamo che è possibile. Vorremmo tanto che le nostre parole e le nostre azioni possano portare alla formazione di un governo più inclusivo e giusto in questa “Terra Santa”.