Dal golpe militare del 25 ottobre scorso, le strade sudanesi protestano, mentre il paese sprofonda in un baratro di cui è difficile vedere la fine.
“Dove andiamo, cosa ci riserva il destino? Davvero non c’è nessuna soluzione e tutte le strade sono sbarrate?” si chiede la gente dalla mattina alla sera.
Dopo una timida ripresa [iniziata alla fine del 2019, NdR] – seguita all’embargo imposto per un quarto di secolo a causa delle politiche di salvataggio attuate dallo Stato ‒ il Sudan è entrato in una nuova fase di isolamento economico che avrà conseguenze catastrofiche per uno dei paesi più poveri del mondo. Lo Stato ha perso il 40% delle sue entrate dopo che la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale hanno congelato due miliardi di dollari di aiuti. Dal canto loro, gli Stati Uniti hanno bloccato 700 milioni di dollari, oltre a una spedizione di 400.000 tonnellate di grano che doveva essere consegnata quest’anno. La Banca Mondiale ha concesso fino a giugno, per trovare una soluzione alla crisi politica, senza la quale il piano di alleggerimento del debito sarà annullato.
Quanto alle banche sudanesi, che avrebbero dovuto rientrare nel sistema internazionale dopo la revoca delle sanzioni statunitensi a fine 2020, ne restano totalmente escluse.
Con il congelamento di sovvenzioni e prestiti, il paese potrà contare solo sulle risorse interne che però non sono sufficienti, nonostante la ricchezza delle miniere d’oro.
Secondo gli economisti, la recente decisione della Banca centrale di liberalizzare il tasso di cambio della sterlina sudanese porterà a un’inflazione del 500%, in assenza di produzione e data la dipendenza (58%) dell’attuale bilancio dalle tasse.
Secondo un rapporto congiunto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) e del Programma alimentare mondiale a Karthum pubblicato il 23 marzo, le ripercussioni della crisi politica ed economica, unitamente ai cattivi raccolti, vedranno raddoppiare, entro settembre 2022, il numero di persone che soffrono di fame acuta, che salirà a 18 milioni.
Negli ultimi mesi, l’inasprirsi dei conflitti, l’insicurezza generalizzata e l’aumento del numero di sfollati hanno inferto un duro colpo all’agricoltura, soprattutto nelle regioni del Darfour e del Kordofan. A ciò si aggiunge l’interruzione del flusso di grano proveniente dal Mar Nero a causa della guerra in Ucraina.
Il rapporto della Crop and Food Security Assessment Mission prevede che la produzione interna di cereali non supererà i 5,1 milioni di tonnellate e coprirà il fabbisogno di meno di due terzi della popolazione.
“È illusorio pensare di poter salvare l’economia senza aiuti esterni, perché – conclude l’autore – nell’era della globalizzazione in cui viviamo (…) qualsiasi tentativo per fare avanzare l’economia richiede una cooperazione economica, scientifica e tecnica con gli altri paesi (…). E questo non può accadere se prima non si ripara la situazione politica”.
Di Al-Shafei Khader Said, scrittore e attivista politico sudanese.
Traduzione dall’arabo di Francesca Martino.