Gli sbalzi meteorologici indotti dall’emergenza climatica e la distruzione russa dell’Ucraina, che compromette la disponibilità di frumento e fertilizzanti e ne fa lievitare i prezzi, causano un’allarmante crisi alimentare.
Biodiversità da riscoprire
Se riso, mais e frumento di “coltivazione industriale” provvedono all’umanità il 60% delle calorie vegetali, cosa succede se vengono a mancare i fertilizzanti chimici? Nelle regioni dove il frumento scarseggia e viene principalmente importato da Russia e Ucraina, la popolazione cosa può fare?
«Altre specie vegetali, sempre più emarginate e spesso addirittura estirpate, da decenni sembrano votate allo sterminio: non sono valorizzate neppure per ibridare e migliorare le monocolture trattate con pesticidi tossici anche per i sistemi naturali di autoregolazione – lamenta Anne Sverdrup-Thygeson –. La capacità della Terra di sopperire alle necessità alimentari, umane e non, è compromessa dalle pratiche agricole che distruggono i suoi “servizi gratuiti” d’impollinazione e controllo dei parassiti. La drammatica perdita di biodiversità è un’ipoteca sul futuro».
Il pericolo dell’asfalto verde
Il prato all’inglese, tanto caro a giardini pubblici e privati, è uno schiaffo alla biodiversità. Negli Stati Uniti è la “coltura” che consuma più acqua: per prati e campi da golf, che coprono circa l’1,9% del territorio nazionale, se ne consuma più di quella che irriga «coltivazioni di mais, riso, frutta e noci messe insieme». Per non parlare delle tonnellate di pesticidi necessarie a eliminare le altre erbe e mantenerli “verdi immacolati”. La nota di Anne suona quasi sarcastica: «Come è possibile pensare che un prato con una sola specie d’erba sia una cosa bella? Perché non preferire un bel giardino colorato da miriadi di fiori e pervaso di profumi e di suoni per il pullulare di minuscole forme di vita?
Il prato all’inglese è un fenomeno culturale, emerso in Inghilterra e Francia come elemento decorativo: per l’aristocrazia del Rinascimento era uno status symbol mostrare una vasta area erbosa e ben curata esclusa dal pascolo del bestiame; lo è ancora oggi per chi vuol far sfoggio del proprio status. Nel mondo i prati all’inglese, monocolture di “asfalto verde”, costituiscono la maggior parte del verde urbano; in alcune città raggiungono anche il 70% e negli ultimi 150 anni hanno soppiantato i prati naturali cosparsi di fiori ed erbe spontanee».
Percezioni pericolose
Ridurre i prati a omogenee e illibate distese di verde altera anche la percezione di ciò che viene considerato “bello e desiderabile”: «Bellezza non significa necessariamente omogeneità, e varietà naturale non significa necessariamente pericolo – nota ancora Anne Sverdrup-Thygeson –. Un angolino di prato lasciato incolto offre spazio a vari insetti predatori, e magari anche a qualche riccio, costituendo un essenziale contributo alla biodiversità delle nostre città».
La popolazione urbana tende a considerare insetti ed erbe selvatiche una minaccia da eliminare; gli alberi morti dei boschi un orrore da rimuovere, mentre sono preziose miniere di biodiversità. «Il rapporto annuale 2020 del Forum economico mondiale per la prima volta ne riconosce il valore e avverte che i rischi più gravi per l’umanità in questo decennio includono fenomeni meteorologici estremi, scarsa mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, catastrofi naturali, disastri ambientali da interventi umani e perdita di biodiversità».
“Farmacia natura” in estinzione
Trapianto di specie e inquinamento stanno riducendo drasticamente la varietà di specie vegetali: l’organismo scientifico-politico internazionale e indipendente che raccoglie conoscenze scientifiche globali in campo ambientale, l’Ipbes (acronimo inglese per Piattaforma intergovernativa per la biodiversità e i servizi ecosistemici), lo denuncia da tempo. I princìpi attivi di piante e animali sono stati per millenni medicine a costo zero.
«Ci troviamo all’alba di una nuova era – afferma Sverdrup-Thygeson –: oggi le nostre conoscenze ecologiche ci permettono di reperire in natura sostanze bioattive che possiamo poi sintetizzare in laboratorio, ovvero ottenere senza danneggiare le specie vegetali e animali che le producono nel loro ambiente naturale. Questo però diventa possibile solo se ci prendiamo più cura di ciò che costituisce il fondamento stesso di queste nuove scoperte: la biodiversità».
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