È dalle donne che si deve partire JUSTIN PAGET VIA GETTY IMAGES
Sabato, 24 Ottobre 2020 14:23

È dalle donne che si deve partire

La risoluzione 1325 (2000) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stata il primo documento formale adottato dal Consiglio a chiedere un ruolo attivo delle donne nella risoluzione dei conflitti e nella gestione delle crisi. Vent'anni dopo come stiamo affrontando la pandemia?

Con i numeri e i contagi in continuo aumento è difficile pensare a quella ripartenza di cui si parlava solo un mese fa. Eppure è di nuovo il momento di far prevalere saggezza e prudenza, per limitare la crescita esponenziale dei contagi.

Ci siamo già passati. Tutto questo è già successo e se è sempre difficile prendere le giuste decisioni a livello governati e decidere cosa è giusto fare, dovrebbe essere almeno più chiaro cosa non fare. Non indire un nuovo lockdown. Non fare gestire la crisi a task-force di soli uomini. Non far pesare tutto questo, ancora, solo sulle donne.

In questo anno particolare, in cui la maggior parte delle attenzioni e delle energie sono state spese per contenere la pandemia, alcuni anniversari e ricorrenze sono passate in sordina. Anche se forse, a ripensarle, potrebbero darci nuove chiavi di lettura per affrontare questo momento. Il 31 ottobre, ad esempio, la risoluzione 1325 (2000) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite compie vent’anni. La risoluzione è stata il primo documento formale adottato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a chiedere ruolo attivo delle donne nella risoluzione dei conflitti. Fino a quel momento le donne venivano considerate solo come “vittime”.

Tra gli argomenti avanzati dalle attiviste che promuovevano questo processo e questo documento, c’era il fatto che i conflitti e le crisi, e la pandemia deve essere considerata tale, non hanno lo stesso impatto su uomini e donne.

Se qualche mese fa la richiesta di stare a casa sottintendeva che “casa” fosse un posto sicuro per tutti, dimenticava le donne vittime di violenza domestica. Se chiudere le scuole era necessario per la sicurezza e la salute di tutti e tutte, scontato era anche che il carico del lavoro di cura spettasse alle mamme divise tra famiglia e smartworking. Se per contenere la pandemia è stato fermato il settore dei servizi, è stata bloccata anche l’occupazione femminile, che a questo settore è maggiormente legata.

E tutto questo perché task force e comitati scientifici sono spesso composti solo da uomini, quando invece – e si basava proprio su questo la risoluzione 1325 (2000) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – servirebbero molte più donne impegnate nel costruire la pace e nel risolvere i conflitti. Numerose organizzazioni femministe nazionali e internazionali hanno chiesto una risposta femminista alla crisi sanitaria globale che tenga conto non solo del divario di genere ma anche di altri fattori, quali l’età, il colore della pelle, lo status sociale e le disabilità, che possono portare a molteplici discriminazioni.

Ancora una volta, è dalle donne che si deve partire, salvaguardando il loro spazio operativo e riconoscendo con lungimiranza il ruolo fondamentale che svolgono nella costruzione della pace ma anche – e soprattuto? - nella risoluzione dei problemi causati dai conflitti.

Last modified on Sabato, 24 Ottobre 2020 14:34

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