Dal 19 gennaio 2019 infuriano le polemiche sull’ennesimo naufragio nel Mediterraneo: davanti alla Libia ha rapito la vita a 117 persone. Altre 52 vittime sono state segnalate lo stesso giorno fra Marocco e Spagna.
Il Mar Mediterraneo, insieme alle tante altre rotte delle migrazioni irregolari, custodisce molti più resti mortali di quelli ufficialmente registrati: sono tutte vittime, spesso anonime, di un traffico umano che lucra sulla disperazione di milioni di persone.
Di chi è la colpa?
Dei trafficanti di esseri umani, dell’inefficienza della guardia costiera libica, ben foraggiata da oltre 40 milioni di fondi europei e italiani, o è colpa dei nostri porti che Matteo Salvini, con ostentato orgoglio, ha sigillato?
Il penoso rimpallo di responsabilità non risolve la questione: come prevenire queste tragedie?
Neppure la dissezione fra coloro che hanno diritto alla protezione internazionale, riconosciuta da 144 Paesi, e coloro che non ne hanno diritto in quanto “migranti economici” risolve la questione.
La mobilità umana è una realtà complessa e articolata: chi la spezzetta artificiosamente in monconi staccati si illude di poterla bloccare a “casa propria”.
Mentre milioni di cittadini romeni emigrano in Italia e Spagna per migliorare le condizioni di vita per sé e le rispettive famiglie, milioni di cittadini vietnamiti o delle Filippine raggiungono la Romania per sostenere l’economia di quel Paese “spopolato”.
Per far funzionare il sistema sanitario nazionale la Gran Bretagna ha bisogno di personale medico e para-medico dall’estero: 62.000 posti vacanti.
Le vite umane che scompaiono risucchiate nel mare o nascoste nei tir che passano le frontiere sono anzitutto vittime di una tragica miopia: rifiutarsi di gestire le migrazioni in modo “globale”.
Chiediamo che il “Patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare”, sottoscritto lo scorso 10 dicembre da 164 Paesi, venga discusso e votato al più presto anche dal Parlamento italiano. Auspichiamo però che ci vengano risparmiati gli scontri ideologici, velenosi e inconcludenti, che spesso ammorbano le aule parlamentari.
Del resto, anche a porti chiusi, gli approdi continuano, spesso alla spicciolata e lontano dai riflettori.
Il buon senso non è buonismo: è il buon senso che trova soluzioni adeguate a questioni complesse.
E le migrazioni lo sono.