Il 23 settembre la Commissione Europea ha presentato il nuovo Patto per la migrazione e l’asilo. Un documento, in realtà, che non è ancora un patto, ma solo una proposta di trattativa, e già ha messo buone basi per un disaccordo.
Questo è ciò che accade, infatti, quando la solidarietà imposta come “obbligo” anziché assunta come scelta consapevole. Inoltre, la strettissima cooperazione con gli stati esterni all’Unione Europea, su cui si dovrebbe basare il controllo dei flussi migratori, è criticata da molte associazioni, operatori e operatrici umanitari.
Solo un giorno dopo Amnesty International pubblica un nuovo rapporto che ribadisce le violazioni dei diritti umani che proseguono nelle carceri libiche. Tra la vita e la morte racconta resoconti di migranti e rifugiati vittime o spettatori di torture, sparizioni, uccisioni, sfruttamento di altri esseri umani da parte di milizie, gruppi armati e trafficanti.
Dal 2016 l’Italia e altri stati UE collaborano con la Libia per far sì che chi intraprende il viaggio verso l’Europa sia intercettato e riportato indietro, aggirando così il divieto internazionale di respingimento e intrappolano decine di persone in un circolo vizioso di crudeltà. Queste collaborazioni vanno bloccate!
A dover essere alimentate, sono invece le collaborazioni fruttuose volte a migliorare le possibilità di successo dei giovani che vogliono fare impresa proprio lì, in Africa, dove sono nati e nate. Le collaborazioni tra Africa e Europa a livello imprenditoriale. Quello delle start-up africane infatti è un ecosistema giovane, dinamico, alle prese con le sfide strutturali di molti Paesi dell’area: mobilità, salute, educazione, servizi alla persona. E grazie anche alla collaborazione con realtà formative europee, nel 2019 i capitali investiti nelle start-up tecnologiche hanno superato i 2 miliardi di dollari.
Tra i tanti progetti c’è quello di risolvere il problema dell’inquinamento da polveri sottili in Uganda portando sulle strade di Kampala moto elettriche con batterie al litio che riducono le emissioni inquinanti e di CO2 e stazioni di ricarica ad energia solare. “Il nostro obiettivo è costruire una rete infrastrutturale di mobilità sostenibile – spiega il team leader Titus Kimbowka a Lifegate –. Il sole, fonte di energia di cui l’Uganda è ricchissimo, non può che essere il nostro primo alleato”.
O ancora il progetto tutto al femminile chiamato HerHealth, grazie al quale è stato sviluppato un dispositivo di analisi delle urine per favorire la diagnosi precoce delle infezioni vaginali. Un kit-tampone a basso costo e un collegamento al personale medico tramite piattaforma digitale risparmiano alle donne delle aree rurali chilometri di spostamenti e ore di attesa. “Costi, distanze e pregiudizi culturali costituiscono tuttora forti barriere all’accesso alle cure mediche – racconta l’ideatrice a Lifegate –. Il sistema di HerHealth consente di monitorare l’insorgere dell’infezione e rivolgersi per tempo al medico”.
Sostenere queste realtà spesso può attivare una serie di circoli virtuosi: rispondere a bisogni, sviluppare nuovi mercati orientati alla sostenibilità e creare occupazione per le comunità locali.
Non vale la pena tenerlo in considerazione?